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Gay Pride, niente patrocinio? Pietro Senaldi: perché la scelta di Rocca è quella giusta

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Pietro Senaldi
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Le bizzarre regole del dibattito politico ci costringono a far finta che sia appassionante la vicenda del patrocinio della Regione Lazio al gay Pride prossimo venturo a Roma. Il presidente Rocca lo aveva concesso; così, per evitare polemiche pretestuose. Il medesimo poi ha cambiato idea e lo ha ritirato, perché andando a leggere tra i contenuti della manifestazione ha scoperto che si sfilerà anche in favore dell’utero in affitto. È una pratica illegale in Italia e che l’intera maggioranza e tre quarti dell’opposizione considerano umiliante e prevaricatrice nei confronti delle gestanti, perla maggior parte vittime di un ricatto economico, ma che viceversa sta molto a cuore al mondo lgbt più altro mezzo metro di incomprensibile sigla.

Il tormentone è andato avanti con Rocca che afferma di essere stato ingannato e dichiara di essere disponibile a restituire il patrocinio se la comunità omo e affini si scuserà. Il parlamentare Zan, omonimo del famigerato e liberticida decreto che, in una vetta di originalità, dichiara che oggi sono tempi peggiori del fascismo e gli organizzatori del Pride che sostengono di non doversi scusare di nulla. Insomma, è partita una manfrina indegna di tutti i protagonisti.

Ma certo che la Regione Lazio ha fatto benissimo a ritirare il patrocinio; anzi, a dirla tutta, non avrebbe mai dovuto concederlo. Il Pride in programma, molto prima di essere una manifestazione civile a favore dei diritti degli omosessuali, è un corteo politico contro il governo. Basta leggere le righe iniziali della presentazione, dove è scritto che “nel primo anno del governo Meloni la comunità queer ha subito molteplici attacchi” e dove si incitano i partecipanti alla “lotta politica”.

 

 

LA LOTTA LGBT
Il mondo lgbt chiede considerazione e rispetto per la propria identità. È legittimo, ma dovrebbe comportare necessariamente considerazione e rispetto anche per quella altrui. Come può questa comunità pretendere che una giunta di centrodestra benedica una manifestazione politica ai danni del centrodestra di governo e, di fatto, dei suoi elettori? Se il presidente lo facesse, si tratterebbe di un attacco politico rivolto contro chi lo ha scelto come candidato e non potrebbe non avere conseguenze significative. E poi non si capisce perché gli organizzatori del Pride tengano tanto al patrocinio di chi disprezzano e non esitano nei loro volantini a definire “fascista”. Quando si tratta di manifestazioni e di patrocini, la democraticità delle istituzioni non si misura dal fatto che essa li conceda o meno. Il criterio guida dovrebbe essere che, se hanno un contenuto politico, meglio astenersi. Delle due infatti l’una: o sono contrarie alla parte alla quale si chiede la benedizione, e allora si verificherebbe un cortocircuito politico che imbarazzerebbe l’istituzione che la concede; oppure sono del medesimo orientamento, e allora diventa estremamente inelegante che l’istituzione ci metta il marchio, quasi a farsi propaganda. Non è un caso se questa seconda opzione a sinistra sia pressoché la regola. 

 

 

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