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Ucraina, "cos'è accaduto il 7 giugno": la data drammatica

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C'è una data, in un anno e mezzo di guerra, che i soldati ucraini non avrebbero voluto vivere e che ancora oggi, a rievocarla, fa male. Si tratta del 7 giugno, il giorno più nero, a detta degli uomini al fronte che è stato documentato da video presi in diretta nel caos delle esplosioni, del fumo, delle urla e del fracasso con sangue, adrenalina impazzita e morte. "Lì abbiamo capito che la strategia della controffensiva era sbagliata" rivelano i soldati a Lorenzo Cremonesi inviato a Zaporizhzhia per il Corriere

 

 

Cosa è successo nel dettaglio quel giorno lo racconta il 28enne Viktor Hametz, che è pilota di Bradley nel Primo battaglione della 47esima brigata meccanizzata dispiegata sul fronte meridionale, e che ora è ricoverato ferito in ospedale a Zaporihizhia."Quel giorno siamo avanzati per quattro o cinque chilometri nel mezzo dei campi minati. Ma presto ci siamo accorti che non eravamo attrezzati per superare le difese formidabili approntate dai russi negli ultimi mesi", ha detto a Cremonesi specificando che "sono trincerati molto bene in bunker di cemento armato, dispongono di molti uomini, godono della copertura aerea, hanno posizionato ovunque telecamere che permettono alle loro sentinelle di individuarci senza essere esposte". "Uno dei nostri problemi maggiori è stato e resta che occorrono più sminatori", rivela il soldato spiegando che "dobbiamo aprire più varchi allo stesso tempo e molto più velocemente, altrimenti i russi avranno il tempo per organizzare la resistenza e fermarci".

 

 

Drammatica anche la storia Ivan Kolomiets, trentanove anni, fante della medesima brigata di Viktor. "Alle due di mattina del 7 giugno", racconta al Corriere "ci infiliamo negli abitacoli dei Bradley per avanzare verso le linee russe: partenza dalle nostre posizioni a Mala Tokmachka, destinazione quelle nemiche a Tokmak, una quindicina di chilometri più a sud in direzione di Melitopol. Fuori è buio pesto, noi della fanteria ce ne stiamo accovacciati in attesa di uscire all’attacco. Ma il viaggio dura più del previsto. Gli autisti procedono lenti, faticano sotto i tiri dell’artiglieria nemica a restare nei solchi tracciati dagli sminatori e ci sono continui raid di droni, dribblano tra le esplosioni. Poco dopo le cinque il nostro mezzo è colpito, vedo immediatamente il cadavere del comandante, distinguo i due piloti insanguinati. Io con tre compagni balziamo fuori, intravedo una trincea russa a due o tre metri e mi ci butto dentro alla ricerca di un riparo. Odo dal fondo il gracchiare di un walkie talkie abbandonato, parlano in russo con forte accento ceceno e dicono che stanno per venire a riprendere la posizione. Dobbiamo andarcene! Mi dico. In quel preciso momento avverto l’esplosione che mi ferisce alla schiena e sulla spalla sinistra. Tocco l’uniforme: è intrisa del mio sangue. Due compagni, anche loro feriti, ma più leggermente, mi afferrano sotto le ascelle e mi trascinano verso un altro Bradley venuto in soccorso. L’autista tenta una rapida retromarcia. Ma anche questo è centrato dai missili anticarro. Il comandante muore subito, gli altri non so; siamo sotto shock, odo lamenti, giacciamo nel sangue e nell’olio bruciato. Mezz’ora dopo spira il mio amico Dmitri, che aveva 32 anni". 

 

 

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