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Renzi e Calenda, il loro destino appeso alle mutande di De Luca

Fausto Carioti
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Gli appassionati del trash ricorderanno il deputato regionale siciliano che nel 2007, nella sala stampa del Palazzo dei Normanni, si spogliò ed indossò a mo’ di mutanda la bandiera giallorossa della Trinacria. Con la Bibbia nella mano sinistra ed un Pinocchio di legno nella destra, protestava contro la decisione del presidente dell’assemblea, Gianfranco Miccichè, di estrometterlo dalla commissione Bilancio. Quell’uomo si chiama Cateno De Luca, è nato nel messinese nel 1972 e da allora ne ha combinate tante.

Per citarne alcune: è finito due volte agli arresti domiciliari (poi assolto), è stato sindaco di Santa Teresa di Riva, è stato rieletto nel parlamentino siciliano con l’Udc (che ha lasciato subito dopo), è stato sindaco di Messina, si è alleato con Forza Italia (incluso Miccichè) alle Europee del 2019, ha fondato il movimento meridionalista “Sud chiama Nord” assieme all’ex grillino Dino Giarrusso (con cui poi ha litigato), si è candidato in Senato a settembre prendendo il 14%, facendo eleggere una senatrice e un deputato, e nello stesso giorno è arrivato secondo, col 24%, alle regionali. A gennaio è stato eletto sindaco di Taormina e ieri ha ribadito che è pronto a candidarsi alle suppletive di Monza, nel seggio senatoriale che fu di Silvio Berlusconi, contro Adriano Galliani e Marco Cappato: probabilità di vittoria zero, ma l’obiettivo non è quello, bensì sbarcare sulla scena nazionale.

 

 

De Luca è infatti la soluzione al grande enigma: perché Carlo Calenda e Matteo Renzi, leader di due partiti che presi da soli sono quotati meno del 4% necessario per entrare nel parlamento europeo, si stanno separando adesso, rischiando di sfracellarsi sulla strada per Strasburgo? La risposta è che ambedue confidano di avere dalla loro parte l’uomo in mutande. Che in Sicilia vale tra il 15 e il 20% dei voti ed è appena sbarcato in Sardegna, che «come la Sicilia e l’intero Mezzogiorno», declama, «troppo spesso viene considerata una regione di serie B dal governo nazionale».

Sicilia e Sardegna compongono la circoscrizione elettorale delle Isole: se a Cagliari e dintorni riesce ad avvicinarsi ai numeri che ha nella sua terra d’origine, e nella circoscrizione Sud, dove sta aprendo “filiali” in Puglia e Campania, incassa un risultato discreto, ce n’è quanto basta per portare al 4% un partito che oggi vivacchia attorno al 3. Motivo per cui Cateno è corteggiato dai due dioscuri centristi. E lui, che intanto flirta con Letizia Moratti, da brava concupita siciliana se la tira. Ieri se li è impaiati in pubblico tutti e due: «Che teatrino infantile», ha detto, «quello tra Renzi e Calenda. Un giorno sono grandi amici e il giorno dopo amanti traditi. Ma o si fanno le cose seriamente e alla luce del sole, oppure, cari miei, il matrimonio d’interessi per le Europee non ha alcun senso». Ciliegina finale: «Fino alle suppletive, cari Matteo e Carlo, non disturbatemi e non riempite i giornali con retroscena sui miei parlamentari, che tanto non verranno nei vostri gruppi».

 

 

Una rete da cui partire per lanciare l’assalto al continente ce l’ha, è quella dei 582 sportelli Caf della Fenapi, da lui fondati e per la cui gestione era stato processato, uscendone assolto con formula piena. A Messina, chi lo frequenta racconta che «Cateno sta giocando su tutti i tavoli, anche col centrodestra. Tratta con i forzisti scontenti di Schifani e col gruppo di Cuffaro e Cardinale, aperti pure loro ad ogni possibilità, anche se con Renzi hanno contatti più stretti che con Calenda e gli altri». Un convivio di democristiani, insomma: gente che certe volte corre insieme ed altre si scontra, ma parla la stessa lingua. E sarà un caso, ma Renzi non ha ancora detto chi appoggerà a Monza, limitandosi a dirsi perplesso su Cappato.

Grandi alternative, Calenda e l’ex sindaco di Firenze non ne hanno. Per il primo la salvezza sicura passerebbe attraverso un accordo elettorale col Pd, che significherebbe uscire da Renew Europe, il gruppo europeo dei “macroniani”, per entrare in quello dei socialisti.

Renzi ha sul tavolo un’opzione speculare: accordarsi con Forza Italia, e dunque col Ppe, prima delle Europee. «Renew Europe a vita», risponde a chi gli fa domande sul futuro. Ma la cosa più importante è quel 4%, e non ci sarà da stupirsi se Renzi, Cateno De Luca e gli altri, tra un anno, si ritroveranno nel Ppe, che in fondo era nato come la grande casa comune dei democristiani europei. Ieri Maria Elena Boschi, sul palco del Caffè della Versiliana a discutere de “La politica italiana dopo Berlusconi”, unica esponente della minoranza in mezzo ad un meloniano, una leghista e una forzista, non sembrava affatto l’estranea del gruppo: «Sto all’opposizione, però...». 

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