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Strage di Bologna, se il Pd non ammette più dubbi sul 2 agosto

Renato Farina
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Possibile che l’imperativo ideologico sia, anche tra persone sicuramente perbene, più forte della voce della coscienza? E che salvarsi la reputazione a sinistra, e non passare per occulti sodali della Meloni, valga il prezzo del tradimento di persone che, certo di destra e rei confessi di altri omicidi, si è però convinti siano innocenti del delitto terroristico più atroce? Stiamo parlando, lo si sarà capito, di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro - sulla cui colpevolezza improvvisamente è diventato criminale dubitare – e della piega che hanno preso i discorsi sulla strage di Bologna, i cui 85 (o 86) morti dopo 43 anni sono gettati addosso a Giorgia Meloni, perché ha avuto il coraggio di condannare la violenza, di piangere le vittime, ma soprattutto di non recitare il copione messole sotto il naso che vuole inchiodare con le parole “strage neofascista” l’orrore addosso a lei come presunto terminale di una storia nera.

Non lo pensa, non ci crede. Chiede invece di scavare ancora, ha tolto il sigillo a 27mila documenti con il timbro di segreto e segretissimo, senza mancare di rispetto alle sentenze passate in giudicato, ma non è che le nega, non ci crede. Come non ci credevano i defunti Rossana Rossanda e Sandro Curzi, Marco Pan nella Francesco Cossiga. I viventi che avevano un dubbio non si pronunciano più. E ricordiamo che in uno Stato di diritto avere un dubbio ragionevole sulla colpevolezza vale un voto di assoluzione. E del resto il dubbio è il principio su cui, da Cartesio in poi si fonda la modernità e la ricerca scientifica, e dunque non è vietabile. Ma il non dichiararlo più è, per obbligo di presentabilità sociale, obbedienza al richiamo della foresta, non c’è niente da fare, si ha bisogno in questa società liquida di essere almeno riconosciuti e stimati dal proprio ambiente, indossando la divisa invisibile e lucente della squadra del cuore, anche se impone di tacere la verità che urge dentro.

Questa logica che sacrifica l’umanità degli altri per garantirsi la tessera del club, sta funzionando. Hanno funzionato in questo senso anche le parole – trascritte solo a metà – di Sergio Mattarella. Il quale ha detto in realtà due cose ed è bravo chi riesce a impedire che facciano a pugni tra di loro: 1- «La matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi». Traduco: sono stati loro, Mambro e Fioravanti e camerati, è stato accertato. 2- «La ricerca della verità completa è un dovere che non si estingue, a prescindere dal tempo trascorso. È in gioco la credibilità delle istituzioni democratiche». Ritraduco: per ora questa è la verità, ma si proceda oltre. Il secondo punto è esattamente quello che è stato messo sotto i piedi. Ed è stato inteso come limite alla ricerca, si insista ad approfondire il sistema tolemaico, che guardando meglio nel telescopio ci si convinca che è un vicolo cieco, e bisogna passare al sistema copernicano... E per cercare la verità chi ha detto che non è lecito dubitare dei risultati raggiunti e qualche volta ribaltare il tavolo con le pergamene delle verità ufficiali? Galileo fu costretto a firmarle, ma pare abbia detto sottovoce: “Eppur si muove”.

L’ordine di Elly Schlein è perentorio, ribadito come uno specchio delle sue banalità da Repubblica: è vietato «ogni tentativo di riscrivere la storia». Luigi Manconi, Furio Colombo – editorialisti di Repubblica – hanno manifestato un diverso parere a proposito della strage. Così Oliviero Toscani e Liliana Cavani. Possibile che accettino questa radicalizzazione del nostro stare al mondo? Ogni istante è la verifica della verità esistenziale nella quale abbiamo immerso la nostra vita. Nulla sfugge a questa totalità di senso. Abbiamo sempre creduto che ci sia qualcosa di più alto, come una stella sopra la contesa politica e che le dà nobiltà. Era un’illusione, è esplosa come una stella nova? Davvero hanno ceduto a un ricatto morale coloro che tacciono? Non ricordo nessuno che abbia alzato la mano e detto: ho cambiato idea, per questo e quest’altro motivo. No, silenzio pesante quasi quanto la lapide esposta alla stazione pochi mesi dopo l’attentato: “Strage fascista”. Pesa di più nella tristezza per il fragile assetto del mondo questo ritrarsi nel privato di personalità inquiete che non la ripetizione senza fine delle medesime parole sulla pista nera alla manifestazione annuale del 2 agosto.

Che cosa è cambiato? Per anni, addirittura per decenni, la sicumera accusatoria nei confronti del “neofascismo” identificato con i volti dei due capi dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) si era attenuata: troppi depistaggi aggrovigliati tra loro, contraddizioni di accusatori scivolati in macroscopiche menzogne, testimonianze di chi collocava i presunti colpevoli altrove, le certezze ribaltate di Francesco Cossiga informato sui movimenti del terrorismo internazionale da carte che oggi aspettano di essere finalmente lette. Era lecito persino a sinistra esprimere altre versioni dei fatti, sostenere il dubbio. Adesso basta. Contrordine compagni. C’è chi fonda la colpevolezza indiscussa di Mambro e Fioravanti propria su una prima lettura dei documenti resi disponibili per ricercatori dalla Meloni e prima sigillati nel segreto.

Dicono costoro: la pista palestinese non esiste più, le carte attestano un accordo con il Fronte per la liberazione della Palestina, Abu Abbas non aveva più ragione di colpire. Sicuri? Peccato che manchino dagli incartamenti le informative dal Libano del colonnello Stefano Giovannone proprio nel periodo luglio-settembre 1980. Qualcuno può spiegarlo? A noi pare un tentativo ulteriore di depistaggio. Possiamo scriverlo? Gli amici del dubbio razionale ci daranno una mano, o sarebbe un regalo alla destra? Nessuna autorità, neppure il Capo dello Stato, ha il potere di vietare un diritto sorgivo che viene prima dello Stato. Che è poi il dovere originario di obbedire alla sentenza della propria coscienza che viene prima della sentenza di qualsivoglia, ed anzi lo Stato è nato proprio per difenderlo, questo diritto-dovere. 

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