Cerca
Cerca
+

Pier Silvio Berlusconi, Sallusti: perché non farà politica

Alessandro Sallusti
  • a
  • a
  • a

Il tormentone politico di Ferragosto ha un nome che accende le speranze di alcuni e le fantasie di molti. Il nome è quello di Pier Silvio Berlusconi, il tormentone gira attorno a una sua possibile discesa nel campo della politica. Ipotesi suggestiva, non c’è dubbio, che parte dall’ovvia considerazione che tra le eredità che il padre Silvio ha lasciato c’è pure quella di un partito, Forza Italia, che da trent’anni a questa parte ha svolto e svolge tutt’ora un ruolo fondamentale nella guida del Paese.

Per questo ogni parola, ogni battito di ciglia dell’erede più in vista insieme alla sorella Marina viene passato prima alla moviola e poi al microscopio da giornali e addetti ai lavori in un sospetto crescendo di morbosità. «Avete visto? Pier Silvio parla già da leader», concludono l’analisi alcuni di questi attenti osservatori commettendo un primo errore depistante, quello insito nella parola «giá». Perchè a differenza di non pochi rampolli di importanti casate Pier Silvio, in verità, era leader ben prima del 12 giugno, giorno della morte del padre, insomma non è uno che spunta dal nulla per mere questioni dinastiche.

 

Già dal 2000, poco più che trentenne, era a capo del sistema televisivo di Media set. E poi su fino a diventare nel 2015 amministratore delegato dell’azienda (oggi diventata Mfe, Media For Europe) oltre che punto di riferimento per tutte le attività imprenditoriali e finanziarie del gruppo. In altre parole: chi si sorprende dell’attivismo di Pier Silvio o non conosce la storia di quella famiglia e di quell’impero o è infastidito e spiazzato, avendo in testa altri fini e progetti, dal fatto che un leader si comporti da leader, cosa che invece avrebbe dovuto essere chiara a tutti fin dal pomeriggio del 14 giugno quando, riaccompagnato ad Arcore il feretro del padre dopo i solenni funerali nel Duomo di Milano, fece la prima mossa a sorpresa e si presentò negli studi Mediaset di Cologno dove erano stati convocati i dipendenti: «Lui rimarrá sempre nei nostri cuori ma da domani noi si torna a lavorare come sempre», disse lasciando ben intendere che il timone dell’azienda era ben sotto controllo e la navigazione certa.

Un mese dopo, siamo a luglio, arriva la seconda sorpresa all’annuncio dei palinsesti Mediaset per la prossima stagione. Come da promessa il lavoro è «quello di sempre» ma il contenuto no, ci sono scelte di grande discontinuità rispetto al passato nei volti (fuori una artista simbolo di grandi stagioni come Barbara D’Urso, dentro Bianca Berlinguer e Myrta Merlino per citare i casi più clamorosi) e nei contenuti (meno trash e più sobrietà persino per Il Grande Fratello) che hanno fatto solbalzare sulla sedia non pochi addetti ai lavori dentro e fuori l’azienda.
E siccome non c’è due senza tre, passa un altro mese e l’8 agosto Pier Silvio di nuovo spiazza. Al termine del primo Trofeo Silvio Berlusconi - sfida secca tra le due squadre del cuore della famiglia, Milan e Monza l’erede lascia la tribuna e microfono in mano raggiunge il centro del campo accompagnato dal fratello minore Luigi, da Marta Fascina, dallo zio Paolo e parla ai sedicimila sugli spalti. Un breve discorso incentrato sul «senso del rispetto caro a mio padre» pronunciato tra gli applausi con voce ferma e sicura da leader.

Gli osservatori maligni non si trattengono dal trasformare la «discesa nel campo» (di gara) in una «discesa in campo» (della politica). Questi sono i fatti oggettivi accaduti da giugno a oggi, fatti che dimostrano una verità assai più semplice di quella che si sta cercando di narrare: Pier Silvio Berlusconi non si è fatto trovare impreparato a uno di quegli appuntamenti cruciali che la vita riserva a ogni uomo. E così essendo, possiamo dire con certezza che non c’è all’orizzonte nessuna improvvisazione che riguardi una sua discesa in politica nè a breve nè a medio termine, non perché sia sconsigliabile o pericoloso per lui o per le aziende, non per calcolo ma perché un leader sa in ogni momento che cosa sia giusto fare o non fare con «quel senso del rispetto» che è nel dna di famiglia. Fine del tormentone.

 

Dai blog