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Articolo 21, caccia ai fascisti in Rai: dopo Facci, il caso Storace

Alessandro Gonzato
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È l’eskimo che torna in redazione. I toni ricordano anni bui. Riecheggiano le parole d’ordine, la caccia al giornalista sgradito. «Fascisti erano e fascisti restano», tuona l’associazione “Articolo 21”, «noi continueremo a contrastarli senza incertezza alcuna». Lotta dura senza paura. Tovarisch, è il soviet dell’informazione. L’ultimo giornalista da contrastare è Francesco Storace, che su Libero ha dato conto della richiesta di chiarezza presentata dall’onorevole Gasparri all’Usigrai su un presunto ammanco di 100mila euro nelle casse del sindacato dei giornalisti del servizio pubblico. Gasparri, che è vicepresidente del Senato e componente della Commissione di Vigilanza Rai, ha chiesto inoltre se è vero che un esponente sindacale dell’Usigrai ha svolto in redazione una serie di mansioni senza averne titolo.

 

 

 

Libero ha riportato la notizia e l’associazione giornalistica “Articolo 21” ha attaccato Storace. Ma scusate, compagni: non è forse un dovere informare su un atto parlamentare? Che fine ha fatto la trasparenza? Sparita. Dissolta in una nuvola rossa. Il comunicato stampa di “Articolo 21”, che dovrebbe battersi per la libertà di stampa, è un sinistro e livoroso tuffo nel passato: «Dopo aver messo le mani su tutta la Rai, avviata persino la distruzione di Rai 3, infamia mai tentata neppure nella stagione dell’editto bulgaro, ora vogliono distruggere chiunque osi mettere in discussione il loro dominio, a cominciare dal diritto a mandare in onda senza contraddittorio “il diario di Giorgia Meloni”».

 

 

 

GRIDO DI BATTAGLIA

“Articolo 21” grida alle squadracce. «Sono ripartiti gli attacchi contro il presidente della Federazione della stampa, Vittorio di Trapani, e il sindacato dei giornalisti Rai. Prima Gasparri, poi la Lega, oggi Storace che carica a testa bassa. Quelli che hanno difeso la Santanchè, taciuto sui 49 milioni della Lega, sostenuto quel De Angelis che dopo aver tentato di riscrivere le sentenze sulla strage di Bologna ha pensato bene di assumere anche il cognato in Regione Lazio, ora provano a gettare fango sul sindacato». Poi il monito, un altro: «Sbaglia chi ha scelto di abbassare il profilo politico, sperando nella clemenza della Corte». Per “Articolo 21” urge una riunione anti-regime. Stamattina, alle 8.30 (chi sta leggendo il giornale in ritardo non si preoccupi ché c’è il podcast) il portavoce di “Articolo 21 Emilia Romagna” dialogherà con Paolo Bolognesi, il presidente dell’“Associazione familiari vittime della Strage di Bologna”. «Sarà l’occasione per fare il punto sul tentativo di riscrivere la storia della Repubblica, di stravolgere le sentenze, di equiparare fascismo e antifascismo, premessa per una repubblica presidenziale a telecomando unificato e senza controlli». Informazione di servizio: «Sarà possibile seguire l’assemblea anche sulla pagina Facebook di Articolo 21 e comunque la registrazione sarà trasmessa sui canali social dell’associazione».

 

 

 

Non è chiaro se l’assemblea ferragostana per denunciare i fascistacci del governo Meloni e le altre camicie nere si svolgerà anche dal vivo, ma in tal caso siamo certi che alla vigilia di Ferragosto il pericolo fascista sarà più forte del mare. D’altronde fanno scuola i quattro amici al bar che l’altra mattina si sono radunati davanti alla sede della Regione Lazio per chiedere le dimissioni di De Angelis- il portavoce del governatore Francesco Rocca - due striscioni di protesta e una decina di bandiere del Pd. Ma qui si parla di un’altra storia. Ieri è intervenuta la componente “Pluralismo e Libertà” dell’Usigrai: «Il sindacato risponda. Quando qualcuno fa legittime domande non si può ricorrere sempre alla bandiera dell’antifascismo».

 

 

 

IL METODO ROSSO

Torniamo alla riunione di “Articolo 21” la cui assemblea era già stata convocata qualche giorno fa. Il comunicato stampa è stato modificato, rimpolpato di rabbia, dopo l’articolo di Libero. I compagni pretendono il metodo-Facci. L’epurazione dei giornalisti non allineati. Al collega Filippo Facci hanno impedito di cominciare a settembre il programma prima del Tg2, colpevole secondo il plotone d’esecuzione di aver scritto sempre su Libero una frase sessista sul caso che riguarda il figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. Anche a tutti gli altri, i giornalisti democratici, vogliono applicare lo stesso metodo, aggressione e messa al bando. Sarebbe tutta da ridere questa storia, soprattutto l’assemblea anti-fascista del 14 agosto - colpa del caldo diremmo - ma l’armata rossa ha davvero indossato l’elmetto. 

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