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M5s, l'ultimo delirio contro Giorgia Meloni: vietato sorridere

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Pietro Senaldi
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«Loro ridono, l’Italia piange. Qual è il motivo di tanta allegria?». Detta dal leader di un partito fondato da un comico, l’affermazione è grottesca. Eppure proprio così Giuseppe Conte ha commentato la foto che Giorgia Meloni si è scattata con tutti gli eletti di Fdi al Parlamento, convocati dalla leader per la cena di inizio stagione. Sul menù, la legge finanziaria prossima ventura, per la quale l’ordine di scuderia è «niente errori ed evitiamo l’assalto alla diligenza».

In effetti, visto come la legislatura a guida grillina ha lasciato i conti del Paese, non ci sarebbe molto da ridere per la classe dirigente che deve tappare i buchi in bilancio; a meno che il motivo di tanto sollazzo non fosse la dichiarazione rilasciata da Conte poche ore prima dello scatto: «Ho lasciato al governo una Ferrari».
La vicenda sa di barzelletta ma, siccome è questa l’opposizione che ci ritroviamo, occorre prenderla sul serio. Le esternazioni del due volte premier consentono di capire qual è il filo che unisce grilli ni e dem: tristezza endemica e moralismo cupo. Vietato sorridere, neppure per sdrammatizzare. Abbiamo capito come mai Conte si sia trovato così bene con il ministro Speranza, look e fisico da testimonial delle pompe funebri, ai tempi del Covid. La sinistra dei diritti nega quello all’ottimismo, che poi è fiducia in se stessi, l’ingrediente che manca all’elettore progressista, che cerca nello Stato quel che gli altri trovano in loro stessi.

Nessuno nega che l’Italia abbia dei problemi economici, ma un capo dell’opposizione che polemizza perfino sulle foto posate della maggioranza dà il segnale di quanto poveri siano gli argomenti degli anti-meloniani odi quanto sia ormai endemico illoro vizio di cogliere ogni pretesto per sparare a zero.

 

Non è così che si risolleva un Paese e non è questo il contributo che ci si aspetta dalle forze che non sostengono il governo. Quando era il solo partito a non votare la fiducia a Draghi, Fdi ha fatto un’opposizione ferma ma costruttiva e questa le è valsa la vittoria elettorale. M5S e Pd hanno preso invece la strada della guerriglia permanente, costruendo la propria identità sulla negazione dell’avversario, ricetta mutuata dall’epoca anti-berlusconiana e che ha propiziato lo svuotamento di programmi e identità della sinistra.

Per tranquillizzare Conte, occorre precisare che, malgrado il buonumore, i parlamentari di Fdi sono perfettamente consapevoli delle difficoltà del Paese, come delle loro cause. La caccia ai quattrini è tipica di ogni manovra finanziaria, ma quest’anno c’è una particolarità: ci sono 109 miliardi di voragine nel bilancio lasciata dal superbonus grillino. Perché, dal reddito di cittadinanza in poi, il ruolo della cicala in questo Paese l’hanno ricoperto i Cinquestelle e agli altri tocca fare oggi le formichine, solo che non hanno avuto i tempi di vacche grasse per riempire prima il magazzino.

La prima gallina che canta ha fatto la frittata. I pennuti di M5S si sforzano di alimentare una protesta sociale che ancora non c’è e che, se mai ci sarà, affonderà le proprie ragioni nella scellerata politica economica di chi, vantandosi di aver abolito la povertà, l’ha viceversa aumentata. Pragmatismo contro moralismo, conti della serva contro velleità keynesiane, consenso sudato contro promesse miracolistiche a spese delle generazioni future.

Hanno ragione i politologi, per una volta, la sfida non è più tra destra e sinistra, e neppure tra sovranisti ed europeisti, specie ora che perfino l’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, maledice un ritorno al patto di stabilità e inneggia all’unione fiscale del continente.
La sfida è tra chi vende fumo e rosica se qualcuno osa ridergli in faccia e chi cerca di mettere fieno in cascina con il sorriso sulle labbra.

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