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Elly Schlein e Nicola Zingaretti? La "doppia verità" non muore mai

Mauro Mazza
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Non ci sono più i comunisti di una volta, ma la prassi della “doppia verità” pare sopravvivere tuttora. Almeno in chi da quella storia (Pci, Pds, Ds eccetera) proviene, come Nicola Zingaretti. Evidentemente, anche per l’ex segretario Pd, un conto è quel che si dice in pubblico, un altro quel che si sostiene in privato, tra compagni. Come rivelato dal Foglio, nel suo discorso alla festa dell’Unità di Ravenna, si è sperticato in altisonanti lodi per Elly Schlein, definita «la nostra salvezza»; e forse intendeva dire proprio la sua personale, di salvezza, ché si preannuncia uno Zingaretti candidato di punta nelle liste del Pd alle prossime europee.

Sennonché, finito l’intervento, Zingaretti avrebbe usato espressioni molto diverse. Forse complice un bicchiere di sincero Sangiovese, ha detto ai suoi interlocutori che «con questa non si arriva nemmeno al 17%», prospettiva che sarebbe assolutamente letale per il Pd, sia pure ben rappresentato a Strasburgo dal fratello del commissario Montalbano. Probabilmente scomodare “doppia verità” e togliattismo, può essere esagerato, spesso le tragedie della storia si ripetono in forma di farsa. 

Lo Zingaretti ravennate riporta alla mente, piuttosto, l’aneddoto che, a fine anni ’50, vide protagonista un famoso giornalista politico. Ricevuto in udienza al Quirinale dal presidente Giovanni Gronchi, ad ogni frase del capo dello Stato scandiva in tono solenne: “Presidente, siamo nelle sue mani!”. Così per due, tre, quattro volte. Lasciato lo studio presidenziale, quello stesso giornalista buttò un occhio ai due corazzieri in servizio e, con la medesima veemenza, sospirò: «Mio Dio, in che mani siamo...».

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