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Salario minimo, la sentenza della Cassazione che fa discutere
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Il salario minimo? È fissato direttamente dal giudice Cassazione. Per verificare se la retribuzione del lavoratore è proporzionale all’attività svolta, il magistrato deve fare riferimento agli importi previsti dal contratto collettivo nazionale di categoria. Ma può anche discostarsene quando lo stipendio non è sufficiente in base al principio ex articolo 36 della Costituzione. Cioè anche quando il rinvio al Ccnl applicabile al caso concreto risulta previsto da una legge. E come parametro può servirsi del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe.
Come riporta Italia Oggi, in riferimento al ricorso proposto dal dipendente della cooperativa attiva nel settore dei servizi fiduciari, la Corte d’appello sbaglia a riformare la decisione del primo giudice, che condanna la società a pagare circa 2.500 euro di differenze retributive, ritenendo inadeguato il trattamento previsto dal contratto collettivo sulla vigilanza privata. Il lavoratore deduce che ha visto ridursi sempre più la retribuzione a parità di lavoro: produce le buste paga e le tabelle salariali, richiamando "il valore soglia di povertà". E in base all’articolo 36 della Costituzione il giudice deve valutare se la retribuzione sia "proporzionata", cioè congrua rispetto all’attività prestata, e "sufficiente", dunque non inferiore agli standard minimi di vita.
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Il giudice deve tenere conto della direttiva Ue 2022/2041, il cui primo obiettivo è la "convergenza sociale verso l’alto dei salari minimi", che vanno "adeguati" per assicurare "condizioni di vita dignitose". Infatti, c’è un limite oltre il quale nessun contratto collettivo può scendere: non può tradursi in dumping salariale, soprattutto se sottoscritto da soggetti poco o nulla rappresentativi. E dunque sottoporre la determinazione del salario al meccanismo della concorrenza invece che contrastare la competizione al ribasso. Non esiste, d’altronde, una riserva normativa o contrattuale a favore della contrattazione collettiva per la determinazione della retribuzione. Anche i salari dettati dalla contrattazione collettiva applicabile alle cooperative possono essere disapplicati dal giudice e il trattamento retributivo annullato e sostituito con uno più congruo: una legge sul "salario legale" nel settore, si legge su Italia Oggi, non può realizzarsi attraverso un rinvio in bianco alla contrattazione collettiva.
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