Israele-Hamas, i Paesi democratici amano la vita, ma sono vulnerabili
Un popolo non può vivere in stato di allerta costante, per quanto assediato tenderà sempre verso la ricerca di un equilibrio, di una normalità. Quello ebraico non fa certo eccezione, anzi nella sua millenaria storia erratica lo spirito di adattamento è sempre stata la chiave della sua sopravvivenza e prosperità, pur nel rigido mantenimento delle proprie tradizioni e costumi. La normalità però in qualche modo ci rende deboli, la pace rammollisce, avrebbero detto in altri tempi, ma soprattutto l’adattamento ci spinge a credere, per convinzione o comodo, che anche gli altri si siano assuefatti a noi. Ma non è sempre così, nell’eterna lotta tra gli occidentali e gli islamici non lo è quasi mai. Israele è uno Stato in armi, la sua posizione e la sua storia lo costringono ad esserlo, ma è uno stato occidentale.
A differenza dei vicini islamici è un Paese profondamente democratico che per innata attitudine crede comunque nella pace e nella buona volontà. Nonostante sia armato fino ai denti, nonostante spenda il 4,5 per cento del proprio Prodotto interno lordo nella sicurezza e nella difesa si è improvvisamente scoperto vulnerabile, incapace di prevedere e fare fronte a un improvviso attacco del suo nemico di sempre, Hamas.
COME 50 ANNI FA
Era già successo, esattamente 50 anni fa in occasione della guerra dello Yom Kippur quando il Paese fu letteralmente preso alla sprovvista dall’attacco congiunto di Egitto e Siria. All’epoca ci vollero una ventina di giorni perché Israele riuscisse a venirne a capo, ma l’onta dell’iniziale debacle non fu mai cancellata. Anche nel caso odierno sicuramente Israele ne uscirà vincitore, ma alcuni media israeliani, tra i quali Haaretz, hanno già fatto notare che comunque vada a finire Israele ha già perso. Non è dunque una questione di forza militare, ma una semplice, o forse dannatamente complicata, questione di mera civiltà, e la sconfitta di cui parla Haaretz è figlia in realtà di quella nobile mollezza che gli deriva dal suo occidentale ottimismo, quella adattabilità di cui parlavamo sopra.
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QUEL DESIDERIO DI NORMALITÀ
Sebbene si tenda a credere il contrario quello israeliano non è un popolo di feroci guerrieri, ma di persone che aspirano alla normalità, che vuole vivere in pace, lavorare, tirare su figli. È un popolo che si illude nella convizione che in fondo quelli che vivono accanto sono come loro e che arrivare a un compromesso con gli arabi è possibile e auspicabile. Lo stavano perfino facendo con i sauditi, nonostante questi ultimi non li riconoscano nemmeno come Stato. No, non sono ingenui, sia chiaro, ma sono occidentali appunto, come noi, niente di diverso da noi. Il loro Paese è una democrazia con tutti i suoi pregi che possono perfino diventare limiti in un Paese assediato, circondato da nemici e costantemente minacciato da attacchi terroristici. La democrazia rappresenta tutti, dà spazio a tutte le idee, nel caso di Israele dà voce anche a chi pensa che i palestinesi, e in taluni casi perfino Hamas, abbiano le loro ragioni. E non sono nemmeno pochi quelli che la pensano così. Molti giornali israeliani hanno sottolineato il fatto che l’attacco è arrivato in uno dei momenti di massima divisione della società, e che la sorpresa è stata possibile proprio perché il Paese è indebolito dagli scontri istituzionali. Ma le divisioni non sono altro che l’essenza stessa di una democrazia occidentale che per sua natura si rivelerà sempre vulnerabile di fronte alle brutte sorprese di una civiltà a noi opposta per cui una buona morte vale di più di una vita qualsiasi. Israele dimostrerà la sua forza e la sua superiorità, anche se non è di moda dirlo. Ritroverà l’unità di fronte alla minaccia, così come l’hanno ritrovata gli Stati Uniti dopo l’11 settembre, la Francia dopo il Bataclan e la Gran Bretagna dopo Londra e Manchester.
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