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Il patriarcato esiste, ma non è di destra: il problema è sociale, non politico

Lucia Esposito
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Il patriarcato esiste ed esisterà finché le donne guadagneranno, a parità di mansione, meno degli uomini, finché saranno costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, finché dovranno sgobbare il doppio rispetto ai maschi perché è quasi sempre su di loro che pesa la gestione della famiglia, dei figli e della casa. Il patriarcato esisterà finché una donna dovrà sentirsi giudicata per come è vestita o non è vestita, per il colore del rossetto e la lunghezza della gonna, esisterà finché un uomo le dirà “Stai zitta” o “Se mi lasci, ti ammazzo”, finché alle bambine verrà insegnato a essere gentili e ai maschi a essere forti, finché un padre sarà orgoglioso del figlio che seduce le donne mentre controllerà il cellulare e le uscite della figlia.

ZITTE IN CUCINA
Moltissime conquiste sono state fatte rispetto alla vita della povera Delia del film di Paola Cortellesi, quando le donne non potevano esprimersi neanche nel chiuso di una cabina elettorale e se ne dovevano stare zitte in cucina come fantasmi in carne e ossa. In sessant’anni le donne hanno colmato molta della distanza, il famoso gender gap, in cui le nostre nonne hanno vissuto, grazie a figure coraggiose e visionarie che hanno lottato anche per noi. Sono tantissime, da Franca Viola, la prima a ribellarsi in Sicilia al matrimonio riparatore dopo essere stata stuprata dal fidanzato che lei voleva lasciare («Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce»), all’avvocato Tina Lagostena Bassi che si batté per introdurre la parola stupro al posto della violenza sessuale che fino al 1996 era ancora un reato solo contro la morale e non contro la persona. E molto prima, alla fine dell’Ottocento, c’erano state molte donne, tra queste Bice Cammeo e Beatrice Pisa, che firmarono il primo manifesto dell’Unione femminile che lottava per dare alle lavoratrici gli stessi diritti dei colleghi.

 



Oggi le signore ricoprono ruoli e posizioni un tempo impensabili, a partire dalla poltrona della presidenza del Consiglio che è stata conquistata per la prima volta nella storia della Repubblica da una donna, peraltro di destra. Il limite del dibattito sul patriarcato che in questi giorni ha riempito le pagine dei giornali e animato i salotti televisivi è che si è strumentalizzato politicamente un problema sociale e culturale. La sinistra attacca la destra di essere portatrice di una mentalità patriarcale e da destra Giorgia Meloni ha pubblicato la foto che rappresenta la sua famiglia composta da sole donne: la dimostrazione plastica di come certi stereotipi sul patriarcato non le appartengano, anzi la sua è una famiglia tutta al femminile.

STALKER E QUOTE ROSA
La destra storica che difende i valori conservatori - Dio, patria e famiglia - è certamente più vicina a un’idea tradizionale dei rapporti uomo-donna ma non per questo avalla la violenza del maschio sulla donna. Per inciso, la legge che punisce gli stalker- chi perseguita, minaccia e molesta una donna - è del 2009 ed è firmata dall’allora ministro di Forza Italia Mara Carfagna e da Silvio Berlusconi. Nel 2011, sempre il governo Berlusconi, ha introdotto le quote rosa nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa e delle società a partecipazione pubblica, un passo necessario per assicurare la rappresentanza femminile negli ogani decisionali ma che pure non è bastato a cambiare una cultura che porta a preferire figure maschili nonostante una ricerca del Boston Consulting Group abbia dimostrato che basta una sola donna in più nella leadership per aumentare il rendimento di una azienda da 8 a 13 punti base. Dal suo canto che cosa ha fatto la sinistra? Si è concentrata sul dizionario, lottando perché tutte le professioni venissero declinate al femminile (avvocata, sindaca, deputata, soldata), una battaglia che ha cambiato la forma alla questione ma di certo non la sostanza.

Ecco, e veniamo al punto, il patriarcato non è né rosso né nero, non ha colore politico è un virus che continua a circolare in modo più o meno strisciante e che la società deve debellare. Se una donna va dai carabinieri a denunciare il comportamento violento del marito, compagno o fidanzato, quella denuncia non deve seguire lo stesso iter delle altre, ma correre lungo strade privilegiate. Se un vicino di casa sente che la donna accanto viene regolarmente picchiata o umiliata, deve denunciare, segnalare ai servizi sociali, uscire dalla comoda stanza dell’ignavia. Ognuno deve fare la propria parte. Uomini e donne, senza distinzione di sesso. Il cambiamento parte dal basso, sempre. Come le rivoluzioni. La politica deve intervenire attraverso campagne di informazione e prevenzione e approvando le leggi che la magistratura deve applicare. La telefonata di Elly Schlein a Giorgia Meloni per il ddl contro i femminicidi è un passo che fa sperare (certo, vedere l’aula vuota non è stato un bel segnale...). Il resto tocca a ciascuno di noi. E le donne dovrebbero ricordarsi di quella ragazzina di Alcamo che alzò la testa e disse: «Io non sono proprietà di nessuno». Ps. Fu un uomo, nella Sicilia di sessant’anni fa, a sostenerla e incoraggiarla. Suo padre Bernardo si schierò dalla parte di Franca, quella figlia che per tutti era solo una «svergognata».

 

 

 

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