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Expo 2030, perde Roma e vince Riad? L'Europa è il mondo del passato

Expo 2030

Luigi Di Gregorio
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Diciamo la verità, tutti sapevamo che Riad fosse favorita per l’assegnazione di Expo 2030. Non è quello che ha colpito analisti e osservatori. Ciò che ci ha lasciato impietriti è stata l’entità della vittoria della proposta saudita, oltre che il sorpasso subito dalla nostra Capitale in favore della candidatura di Busan (Corea del Sud). Puntavamo ad arrivare secondi con almeno 50 voti, siamo arrivati terzi con solo 17 preferenze.

Lascio volentieri ad altri la polemica spicciola e, secondo me, miope sulle responsabilità delle istituzioni, del comitato promotore, della fondazione Expo 2030, dei partiti e così via.

Serve a ben poco e non centra il problema. Così come è facile ipotizzare che il peso economico e finanziario della proposta di Riad abbia avuto un ruolo determinante sull’esito finale: 190 milioni investiti per la promozione della candidatura a fronte dei 30 milioni di Roma; 7,8 miliardi di investimenti per la realizzazione di Expo, contro 2 miliardi del progetto italiano; fino ai dettagli, solo apparentemente irrilevanti, come la scelta di mettere in campo Cristiano Ronaldo, il più grande influencer del mondo.

 

 

La sintesi è: «Si sono comprati pure Expo?», come ha osservato l’ambasciatore Massolo parlando di metodo transazionale anziché transnazionale? Non lo si può certo escludere, ma a mio avviso è parzialmente miope anche quella lettura. O meglio, proverei ad allargare ulteriormente il quadro per spiegarla, in qualche modo. Roma è una città considerata, giustamente, un simbolo universale. Per la sua storia, perché è la capitale del cattolicesimo, perché in Campidoglio è nata la Comunità Economica Europea e per tante altre ragioni. Roma è Roma.

Anche l’Expo, tuttavia, ha una sua storia, molto particolare. È una storia di innovazioni e di futuro. Per fare due esempi, nell’edizione del 1900, a Parigi, l’Esposizione Universale fece scoprire al mondo l’elettricità e il cinematografo; nel 1962, a Seattle, il tema fu “L’uomo nell’era dello spazio”. Se consideriamo che il quartiere E.U.R. di Roma nacque proprio per ospitare l’Esposizione Universale Roma del 1942 (mai svoltasi a causa del conflitto mondiale) ed è considerata ancora oggi l’area più contemporanea della Capitale, beh... qualcosa dovrebbe dirci. Non solo su Roma e neanche solo sull’Italia. Quello che intravedo è un problema europeo - e forse anche democratico, cioè avente a che fare col ruolo delle democrazie nel mondo che verrà.

PARLANO I NUMERI - Dal 1851 al 2030 si contano 38 edizioni di Expo. Trentaquattro sono state in Europa, Stati Uniti, Giappone, Canada e Australia. Ben 22 di queste hanno avuto luogo in Europa, perché l’Europa era, tra ’800 e ’900, motore indiscusso di innovazione e di futuro. Tre delle ultime cinque edizioni, invece, vedono l’ingresso di Cina, Emirati Arabi e, da ieri, Arabia Saudita. 

 

 

Secondo un rapporto di Goldman Sachs dell’anno scorso, tra 50 anni, le prime 7 economie del mondo saranno, in ordine di grandezza: Cina, India, Stati Uniti, Nigeria, Pakistan, Egitto. Nel 2000 erano: Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Cina, Italia. Sei paesi europei erano tra le prime 14 economie mondiali; nel 2075, resterà solo la Germania, al nono posto.

CONTINENTE DAVVERO VECCHIO? - Ora dovrebbe essere più chiara la mia interpretazione di ciò che è accaduto a Parigi, o quantomeno la lezione che dovremmo trarne. Credo sinceramente che noi, come europei prima che come italiani, siamo ancora convinti di avere una centralità e un protagonismo che non esiste più. E ci è scappato di mano così velocemente da non farcene rendere conto. Ecco allora a cosa può servire la lezione di Parigi su Expo: a prendere consapevolezza del mondo che sta prendendo forma, a fare massa critica per tornare ad avere una voce che conta, a metterci in pari sulla transizione digitale dove, letteralmente, ogni giorno rischiamo di perdere terreno. L’alternativa è quella di diventare davvero il “vecchio continente”, un museo a cielo aperto senza alcuna capacità di incidere sui destini del mondo. 

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