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Walter Veltroni, con lui si smoscia pure la Cortellesi

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Francesco Specchia
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Nel quarto, inesausto capitolo della serie del commissario Buonvino (Marsilio), Walter Veltroni descrive il momento in cui l’agente Gozzi intuì l’incapacità del suo cervello di regolare in modo naturale il «ritmo veglia -sonno», cadendo in uno stato di brutale narcolessia ad occhi aperti. Ecco. È l’esatta sensazione in cui, di solito, si trova il lettore del Veltroni stesso. L’ineffabile Walter. Ovvero la narcolessia vissuta come realismo magico, la sonnolenza come placebo letterario, il «sussurro come carezza dell’anima» (direbbe lui). Non per nulla, riconoscendone la grandi doti terapeutiche, Dacia Maraini e Giancarlo De Cataldo lo paragonarono a Garcia Marquez, dalla cui tomba, a Città del Messico, esalò un rantolo di disapprovazione. Ma sto divagando. Il tema, oggi, è l’intervista a Paola Cortellesi che il Corriere della sera invece di assegnare a professionisti come Cazzullo, Morvillo o Lorenzetto ha commissionato a Walter, il grafomane. Due paginozze belle dense, ad occhio 20mila battute e passa. In cui l’indomito cronista doveva partire dal film fenomeno C’è ancora domani (che riesce a non citare fino alla quinta colonna, costringendo l’impaginatore a una scheda d’appoggio), per arrivare a svelare i segreti della regista del momento, nonché donna più divertente del mondo.


LA NOSTRA SHIRLEY MCLAINE
Minchia, Uolter, hai davanti a te Paola Cortellesi. La Cortellesi. Un mix esplosivo tra la Wertmuller e Shirley MacLaine. Ne uscirà, di certo, un ciclone di battute, di retroscena, di denunce. Dato per scontato che di Paoletta da anni sulla scena, e delle genesi del film, si conosce tutto, be’, uno s’aspetta da Veltroni domande al tritolo sulle reazioni della stampa internazionale; o sul rapporto e gli scazzi da cineasta dall’altra parte della barricata con gli amici interpreti; o sulla palestra dei segreti del mestiere o le rivalità col marito regista Riccardo Milani; o l’effetto pugno-nello-stomaco-alla politica della sua opera, accesa sul caso Giulia Cecchettin. O, al limite i j’accuse sdegnati verso le piattaforme straniere che rubano il cinema agli italiani. Magari, boxando di quesiti scomodi, si staglierà pure una bella accusa al cinema italiano che non valorizza i talenti (come nel suo caso), al tax credit e a chi ci mangia sopra. E, magari, per la prima volta Paolina citerà aneddoti scoppiettanti; chessò di quando Arbore la scelse a 14 anni, per cantare Cacao Meravigliao. Invece, nulla. Le domande veltroniche alla Cortellesi – quasi sempre in forma assertivasono di questo tenore: «Cominciamo dall’inizio. Da Paola piccola. Avevi un diario?»; «Che facevano i tuoi?»; «Come hai iniziato a cantare?»; «Come ti è venuta l’idea del film»; «La musica mi è sembrata decisiva...»; «Ti aspettavi l’incredibile successo»; «Mi dici un film e un disco dai quali non ti separeresti mai?». E la finale, stordente, al glucosio: «Immagina di trovarti al parco con Lauretta, di vedere una bambina che ti assomiglia e di scoprire che sei tu piccola. Che consiglio daresti a Paoletta?...»; da rispondere d’impeto: «...di evitare, quando avrai 50 anni, gli ex segretari del Pd che vogliono intervistarti». Ma Paola, cortese, risponde: «che va bene così».

 

 

E, voilà: l’autrice più ironica e dinamitarda sulla piazza, all’improvviso, si ritrova avvolta da una glassa buonista, da gemiti morbidi come plaid, da quesiti spuntati. Il racconto sussurra, si smussa, si sminchia. E, nel momento in cui Uolter le fa: «Tu hai sempre affrontato la vita con leggerezza, non sei certo pesante», be’, Paola assomiglia, pallidamente, a un mix fra Laura Boldrini e la Piccola fiammiferaia. Veltroni ha veltronizzato perfino la Cortellesi. Ne risulta un pezzo di mediocrità invincibile. Il fatto è che Uolter non è un giornalista. O meglio. È un giornalista di quelli che tendono a mettere prima il proprio ego al centro, e dopo tutto il resto. E fin quando ci saranno colleghi che per lui evocano Pirandello e Conrad (o Tarkovskij, quando si tratta, per esempio, dei film sui concerti perduti di Dalla, dove non cita né il regista Ambrogio Lo Giudice, né l’organizzatore Franco Schipani); be’, la situazione non potrà che peggiorare. Finché ogni suo romanzo avrà le critiche stroboscopiche degli amici («sotto il linguaggio asciutto percorso da una vena di timidezza» by Gramellini) e l’automatica dicitura «in odore di Strega»; finché farà film come I bambini sanno e verrà scambiato per Frank Capra; finché circolerà in Rete la terribile poesia dedicatagli da Sandro Bondi («Tenero padre/ madre dei miei sogni./ Anima ulcerata./ Figlio mio/ ritrovato»), bé il veltronismo sarà l’educatissimo sicario culturale di questa nazione... 

 

 

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