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Pd in cortocircuito, informate Elly Schlein: la Costituzione è sessista

Elly Schlein

Fausto Carioti
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Manca un passo importante, ad Elly Schlein e alle sue compagne di rivoluzione antipatriarcale e di empowerment femminista. Un gesto di onestà politica ed intellettuale senza il quale tutta la battaglia che stanno conducendo per «rovesciare quel modello neoliberista, antropocentrico e patriarcale che produce e alimenta le diseguaglianze e al contempo sfrutta in modo insostenibile il pianeta» (il programma che la leader del Pd illustra nel suo libro) è un esercizio sterile, un vuoto parlare.

Non si tratta di cambiare lo statuto del Partito democratico approvato appena undici mesi fa. Rispondendo l’altro giorno in aula alla piddina Maria Cecilia Guerra, che lo accusava di aver chiamato Schlein «segretario» anziché «segretaria», il deputato di Fdi Marco Perissa ha rimarcato, crudele, che proprio lì, nello statuto collettivo e plurale del primo partito della sinistra italiana, è maschilisticamente scritto che «il segretario nomina la segreteria nazionale ed eventuali altri organismi esecutivi». Per cui adesso, come raccontato dal Foglio, la Ocasio-Cortez de noantri e le sue colonnelle, frastornate dalla rivelazione, intendono correre ai ripari e far modificare lo statuto dall’assemblea del Pd, inserendo accanto al corrispettivo maschile (prima? dopo?) la parola «segretaria». Che si porterà dietro la «tesoriera», la «coordinatrice» e tutte le altre. O magari, per semplificare (diciamo così), adotteranno la schwa, la “e” rovesciata che piaceva tanto a Michela Murgia e permette di rivolgersi a tutt* senza imposizioni di genere.

Un lavoro che forse il Pd farà davvero o forse no, ma in ogni caso lascerebbe il tempo che trova. Fossero coerenti, dovrebbero ammettere che il patriarcato che denunciano ogni giorno alligna altrove: nella Costituzione più bella del mondo e baluardo dell’antifascismo.

 

 

IL CASO SPAGNOLO - Lo sanno pure loro, solo che non riescono a dirlo. Nemmeno un mese fa la sinistra spagnola ha proposto di cambiare la Constitución per rinominare il «Congreso de los diputados», la Camera dei deputati di Madrid, semplicemente «Congreso», in modo che «las diputadas» non si sentano tagliate fuori dal perimetro istituzionale. L’italiana Cecilia Elia, portavoce delle donne del Pd, ha applaudito entusiasta a nome del suo partito: «Il linguaggio costruisce la realtà, il fatto che ci siano istituzioni declinate solo al maschile è un retaggio di quando le donne ne erano escluse».

Ecco: e nella Costituzione italiana? Silenzio. Eppure anch’essa chiama quel ramo del parlamento «Camera dei deputati». E nei 139 articoli scritti dal compagno Umberto Terracini e dai suoi colleghi non solo appare la «razza» (orrore!), non solo si legge che i cittadini sono «uomini e donne», secondo una logica binaria che discrimina le infinite sfumature dell’arcobaleno LGBTQIA+. Ma il maschilismo istituzionale è scolpito in ogni pagina, a partire da quelle che introducono «il Presidente della Repubblica», il quale nomina «il Presidente del Consiglio dei ministri» e quando cessa dalla carica diventa «senatore di diritto e a vita».

Sono retaggi del patriarcato le disposizioni secondo cui ogni Camera elegge «il suo Presidente», mentre «il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare» e i membri di diritto del Csm sono «il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione». Eccetera.

 


Così, quando Schlein sostiene che «adottare un linguaggio inclusivo è un dovere per le istituzioni» e accusa Giorgia Meloni perché si fa chiamare «il presidente», quando Laura Boldrini ripete che «il linguaggio determina la percezione di una persona e se nego il linguaggio nego i diritti e il salario, perché tutto è collegato», dovrebbero avere il coraggio di portare a termine il ragionamento e dire che la prima cosa da fare è riscrivere la Costituzione.

SENATRICI E SENATORI - I 76 membri del Senato che nei giorni scorsi hanno consegnato al presidente Ignazio La Russa una lettera in cui chiedono che sia «riconosciuto il diritto di ogni senatrice ad essere chiamata “senatrice” e non “senatore”», nella convinzione che l’uso del «linguaggio di genere è un alleato irrinunciabile nella battaglia comune per l’eliminazione della violenza contro le donne», e i 136 deputati che li hanno imitati, oltre alle lettere dovrebbero firmare un disegno di legge costituzionale per rendere la norma fondamentale della repubblica italiana compatibile col nuovo spirito del tempo, e dunque “gender neutral” ed inclusiva, magari inserendo la schwa. Avremmo una proposta di Costituzione in cui si legge che «La/il Presidente della Repubblica nomina la/il Presidente del Consiglio de* ministr* e, su proposta di quest*, le/i ministr*», o qualcosa di simile. Un messaggio chiaro a difesa dei diritti fondamentali, immagine fedele delle nuove frontiere progressiste, e nessuno potrebbe più dire che la sinistra non sa parlare al popolo. 

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