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Pd e M5S divisi alla meta: in Piemonte sfuma l'intesa

Elisa Calessi
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Due comunicati distinti per dire che resta, da entrambe le parti, la volontà di dialogare (il Pd ha parlato di «clima costruttivo», il M5S di «spirito costruttivo e orientato al dialogo»), si incontreranno di nuovo il 17 gennaio, con tanta buona volontà, ma, per ora, nessun accordo. Perché, come evidenziano entrambi, restano «criticità e distanze». Serve la «credibilità di un progetto comune», si legge nella nota del M5S, «e proprio per questo riteniamo che non si possa non tener conto di quanto avvenuto nel recente passato politico piemontese, periodo in cui il Movimento 5 Stelle ha fatto scelte coraggiose e in discontinuità sia con il centrodestra che con il centrosinistra». Tradotto: ci sono contrasti forti. Per esempio, la Tav. E il passato, che li ha visti scontrarsi su fronti opposti giorno dopo giorno, non è un dettaglio. L’esito dell’incontro tra Pd e M5S a Torino per fare il punto sulle elezioni regionali, su cui tanta era l’attesa, è un po’ il simbolo della situazione in cui si trova il Pd e il centrosinistra in vista delle scadenze elettorali di questo nuovo anno. Tanti tentativi (soprattutto da parte del Pd, il più generoso nel tentare alleanze), ma con esiti modesti.

 


Lo stato dell’arte è questo: in Sardegna l’intesa con il M5S si è realizzata. Il nome, deciso da Roma, è quello di Alessandra Todde, contiana di ferro. Ma il prezzo è una frattura profonda nel Pd, con l’addio di uno fondatori del partito, Renato Soru, che comunque si candiderà rischiando di togliere voti a sinistra e regalare la vittoria a tavolino alla destra. In Basilicata il Pd voleva candidare Angelo Chiorazzo, fondatore della cooperativa sociale Auxilium, vicino al mondo cattolico. Suo sponsor è Roberto Speranza. Ma una parte del Pd locale, tra cui l’ex parlamentare Salvatore Margiotta, non è convinto della scelta. Sono state proposte le primarie. Ma il M5S, qui come altrove, si rifiuta di farle. Risultato, tutto bloccato. Chiorazzo intende comunque candidarsi. Ma il Pd è spaccato. E l’alleanza con il M5S non c’è.

 


In Umbria si voterà dopo l’estate, ma anche qui, per ora, non c’è un nome che metta d’accordo Pd e M5S. Si salva solo l’Abruzzo, dove si è riusciti a fare un’alleanza larga (da Pd ad Azione passando per il M5S) su Luciano D’Amico, ex rettore dell’Università di Teramo. Se si passa al dossier comunali, non va meglio. A Firenze, dove si vota in primavera, la decisione del Pd di non fare le primarie ha provocato, esattamente come in Sardegna, una frattura che ha portato Cecilia Del Re (ex assessore della giunta Nardella, che voleva candidarsi a sindaco) ed altri con lei a lasciare il Pd. Una rivolta che, unita alla mancata alleanza con Italia Viva (che candida Stefania Saccardi, vicepresidente della Regione), rischia di pregiudicare la vittoria del centrosinistra a Firenze. E caos c’è a Bari, dove il M5S ha rifiutato le primarie e la strada per un candidato unitario è in grande salita.

 

Poi ci sono le Europee. Anche qui non c’è nulla di chiuso. Elly Schlein ancora non ha deciso se candidarsi o no. Tutti, al Nazareno, aspettavano oggi l’annuncio della premier, che avrebbe spinto la segretaria a una decisione (probabilmente per il sì). Ma non è arrivato. E così anche la decisione di Schlein può ancora essere rinviata. Appesa a questa scelta, ci sono quelle per le liste in generale. Infatti se Schlein si candida capolista o no cambia lo schema. Certo, sarebbe un traino, dicono alcuni dei suoi. Ma, dicono altri, violerebbe una regola fin qui seguita dal Pd (le candidature devono essere vere, non di bandiera). Oltre al fatto che una donna capolista in tutte le circoscrizioni finirebbe, per il sistema elettorale delle europee, per favorire gli uomini e penalizzare le donne. Ultimo problema, i nomi. Schlein da settimane lavora su nomi identitari, vicini a lei, da Chiara Valerio a Maurizio De Giovanni, da Cecilia Strada a Paolo Berizzi, ma lei stessa si rende conto che rischiano di non farcela nel gioco durissimo delle preferenze, su cui si basano le elezioni europee. Chi è in grado di prendere voti, alla fine, sono gli amministratori: Giorgio Gori, Dario Nardella, Matteo Ricci, Antonio Decaro. Tutta gente che si è «messa a disposizione» da mesi. Ma c’è un problema: sono tutti vicini a Stefano Bonaccini

 

 

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