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Giuseppe Conte re mogio, frigna per essere notato

Salvatore Dama
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Giorgia Meloni, potendo scegliere, opta per l’avversario più facile. Quello che, per una serie di ragioni, dà meno preoccupazioni in vista delle elezioni europee. Cioè Elly Schlein. La mossa della premier è chiara: polarizzare lo scontro. Farne una competizione a due. Relegando in un cono d’ombra gli altri. E Giuseppe Conte un po’ rosica. Comprensibilmente da parte sua. Mentre Schlein arranca nei sondaggi, l’ex “avvocato del popolo” ha preso la rincorsa. Sicuro di mettere la freccia, quando si apriranno le urne, per superare il Partito democratico. Conte piace di più. Funziona di più in televisione. Sui social è un treno. Ha la capacità, lui sì, di farsi capire. Meloni deve arginarlo. E, furba, offre un assist indiretto a Elly.

Che però, a questo punto, avrà l’obbligo di candidarsi se, come pare, Giorgia sarà in campo. Una rogna non da poco, visto che tra i dem ci sono molte perplessità al riguardo.

LO SFOGONE - Ma qui si parla di Conte. Che invece declina subito la sfida elettorale: "Io non illudo i cittadini con una finta candidatura per prendere qualche voto in più e soprattutto ho rispetto del mandato che mi hanno già affidato in seno al Parlamento". Sull'eventuale duello tv Meloni-Schlein, Conte risponde stizzito: "Meloni può fare le strategie che vuole e scegliere di confrontarsi con chi vuole. Con me ha rifiutato, intimando ai vertici di FdI il niet ad una mia presenza ad Atreju. Ciò che però non può fare è scegliersi gli oppositori e dare patenti di legittimità ai suoi avversari.

 

 

Sulla strada dell’opposizione, contro le sue bugie e i suoi fallimenti, troverà sempre me e il M5S». Il giochino della torre fa innervosire i grillini. Tanto che l’ex ministro Stefano Patuanelli arriva a dare, sostanzialmente, della sfigata a Schlein: «Meloni è legittimata a confrontarsi con chi vuole, in questo caso con chi teme meno». Ma se il gioco delle coppie è partito, i 5s alimentano il rumore di fondo. Conte, ferito per l’essere stato declassato ad avversario minore, rovescia tutto il veleno di cui è capace.

Lo fa con un’intervista a Repubblica. Meloni, dice, è «in grossa difficoltà, al di là dei suoi soliti toni muscolari». Mette a fuoco il caso del pistolero Pozzolo. Quando era all’opposizione, Giorgia «chiedeva le dimissioni di tutti». Invece, in questo governo, «abbiamo visto sottosegretari che divulgano informazioni riservate per attaccare l’opposizione, ministri che vengono in Parlamento a mentire sulle attività societarie svolte, altri che fermano treni. Un premier deve scegliere: solidarietà di partito e di coalizione o tutela delle istituzioni? Lei ha scelto la prima alternativa».

Poi Giuseppe la mette sulla lotta di classe. Il ferito è uomo del popolo: «Un operaio si fa problemi prima di denunciare un politico. È il frutto più amaro di una politica arrogante, che si crede onnipotente e trasmette ogni giorno la sensazione che ci siano cittadini di serie A e di serie B. Una politica che ferma treni dove vuole perché deve scendere il Ministro. Una politica che non paga mai per i suoi sbagli. Una politica che premia amici e familiari. Una politica che porta armi a una festa con le famiglie e se parte uno sparo pensa di farla franca. Non arrendiamoci a questo degrado».

 

 

DITINO PUNTATO - Ma l’atto d’accusa contiano non finisce qui. È preso proprio male: «Pur di coprire i suoi fallimenti in economia, immigrazione e politica estera», Meloni «dice bugie e ricorre al solito vittimismo: accuse agli avversari politici e complottismi anziché autocritica sui suoi tanti errori. Nessuna visione, nessuna ricetta per la crescita. Giorgetti aveva escluso manovre correttive e Meloni già lo smentisce con un “valuteremo”. Stravolgimenti della realtà che da un presidente del Consiglio non ci si aspetterebbe, il rischio è che ci si abitui un po’: anche per questo ho chiesto un Giurì d’onore sulle accuse che mi ha rivolto sul Mes». Meloni bocciata in economia: «Quando ne parla si ritrova in territorio ostile, materia per lei sconosciuta. Dice una sfacciata bugia quando sostiene di essere l’unica che ha tassato le banche. Non si è mai vista una tassa sugli extraprofitti che genera zero euro».

Infine l’affaire Verdini: «La differenza tra Meloni e me», conclude Conte, «è che quando Salvini non volle andare in Parlamento a rispondere del caso Metropol, ci andai io per difendere con trasparenza il prestigio delle istituzioni. Meloni sta dicendo a Salvini che non deve andare a riferire nonostante Anas sia una società pubblica. Sta facendo esplodere la questione morale. È devastante per le istituzioni».

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