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Bettini ridimensiona Schlein e Pd: "Disastrata, nessuno in grado di farlo"

Elisa Calessi
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«L’opposizione democratica è un’alleanza ancora molto disastrata». E se a dirlo è l’uomo che, per primo, teorizzò l’alleanza Pd-M5S, non c’è da stare allegri. A sostenerlo, infatti, in un lungo intervento su L’Espresso è stato Goffredo Bettini. Il dirigente del Pd, tra i fondatori del partito, per decenni deus ex machina del Pd romano, concede che «qualche passo in avanti è stato compiuto», ma «il percorso virtuoso è lungo». E avverte: «La prova elettorale europea», essendo «ultraproporzionale», «oggettivamente rischia di non aiutare».
Un quadro, insomma, a tinte fosche. E non se ne esce nemmeno con l’arrivo di un federatore: invocarlo, dice Bettini, è «prematuro e sbagliato». Minimizza, poi, la risposta che Romano Prodi ha dato all’evento del Pd circa la capacità di Elly Schlein di svolgere quel ruolo.

«Cos’altro doveva e poteva rispondere? Certo che la segretaria del Pd sarebbe in grado; per talento e crescente autorevolezza. Lo penso anch’io. Ma, appunto, la domanda è sbagliata». Sbagliata perché il problema è un altro: ossia che l’alleanza è «disastrata». Dunque, il solo fatto di parlare di qualcuno in quel ruolo «ingelosisce e moltiplica i sospetti». Vedi Conte, con cui Bettini ha un solido rapporto. Il consiglio finale del dirigente dem è di cercare, ciascuno, di pensare al proprio orto: «Ognuno si radichi più nel profondo della società, con la propria identità. Con la consapevolezza, tuttavia, che, tra possibili e auspicabili alleati futuri, serve un reciproco sguardo benevolo, un po’ di generosità, il rispetto e la solidarietà di una comune fermezza antifascista».

 

 

Sentimenti che, al momento, non sembrano caratterizzare lo stato dei rapporti tra Pd e M5S, a vedere quello che sta accadendo per le elezioni che si svolgeranno nel 2024. Bettini conclude con una presa d’atto molto amara: «Allo stato attuale, nessuno è in grado di indicare un campo largo e neppure quello giusto». Quasi un epitaffio sul progetto che, invece, è la missione della segreteria Schlein: creare un’alleanza larga, in grado di essere alternativa al centrodestra. Il fatto è che, come si vede nelle trattative per i candidati alle Regionali, ma anche Comunali, il tentativo stenta a decollare. In Piemonte quasi sicuramente Pd e M5S andranno ciascuno per proprio conto. Le ruggini del passato sono difficili, anzi impossibili, da superare. Oltre al fatto che ci sono posizioni opposte su temi decisivi (vedi la Tav). In Sardegna, lo strappo di Renato Soru potrebbe portare con lui il voto di tanti elettori dem che non approvano l’alleanza con il M5S. In Basilicata, il M5S non appoggerà Angelo Chiorazzo, il candidato scelto dal Pd (ma contestato anche da una parte del Pd locale). In Umbria, dove si voterà dopo l’estate, il nome che si fa è quello di Riccardo Corridori.

 

 

Ma M5S e AvS hanno sospeso «ogni trattativa». A questo si aggiunge la grana Firenze, che sta impensierendo sempre di più il Nazareno. Il timore, infatti, è che molti elettori dem decidano di non votare più il Pd, dopo la frattura che ha portato l’ex assessore Cecilia Del Re a lasciare il partito, in seguito al rifiuto di indire le primarie. Consultazione che, invece, Matteo Renzi, proprio per recuperare i dem delusi, è intenzionato a organizzare mettendo in campo la sua candidata, Stefania Saccardi, contro Del Re. Finora si pensava che Sara Funaro, la candidata scelta da Dario Nardella (e che il 19 gennaio lancerà la sua candidatura), non corresse rischi. Invece in molti cominciano a temere per Firenze un effetto Bologna. «Rischiamo che si ripeta il caso Guazzaoloca», dice un importante dirigente, facendo riferimento alla storica sconfitta del centrosinistra bolognese nel 1999. E se cade Firenze, il caso non può che essere nazionale.

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