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Giorgia Meloni, usare la Consulta per silurare il premier: ecco l'ultima trovata

Giorgia Meloni

Fausto Carioti
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È l’ultima risorsa, ma anche l’uovo di Colombo: far silurare il «premierato», la riforma della Costituzione che introduce l’elezione diretta del primo ministro, dalla Consulta. Alla domanda cruciale, se i giudici delle leggi possano vagliare e bocciare una legge di rango costituzionale, ha già risposto in modo affermativo il loro presidente, Augusto Barbera, il 12 dicembre, primo giorno del suo incarico: «Sin dal 1988 la Corte ebbe a dire che anche disposizioni costituzionali possono essere oggetto di sindacato della Corte Costituzionale, se dovessero essere in contrasto con i principi supremi della Costituzione». È il motivo per cui Barbera si è rifiutato di sbilanciarsi sul testo (probabilmente non definitivo) presentato dal governo: «Siccome queste riforme potrebbero venire in qualche modo al giudizio della Corte, non ne parlo».

Il riferimento è a una “storica” decisione del 1988, in cui la Consulta, chiamata a giudicare su una norma dello Statuto del Trentino-Alto Adige, che ha valore di legge costituzionale, stabilì che «la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale».

Non solo - si legge in quella sentenza - non può essere oggetto di riscrittura la «forma repubblicana», blindata dall’articolo 139, ma non si può nemmeno inserire nella Carta una norma che in qualche modo collida con i principi che, «pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». Un limite alquanto vago: quali sono questi principi? Si esauriscono nei primi dodici articoli o c’è altro? In compenso, è chiaro chi deve dare la risposta: i giudici costituzionali.

Per questo è importante lo scontro tra Giorgia Meloni e Giuliano Amato. La vera materia del contendere, come ha sottolineato la presidente del consiglio, è la nomina di quattro giudici costituzionali da parte del parlamento. Un posto, quello della ex presidente Silvana Sciarra, è già libero, tant’è che la Consulta attuale conta quattordici componenti; altri tre si libereranno il prossimo dicembre, quando scadranno i mandati di Barbera e dei vicepresidenti Franco Modugno e Giulio Prosperetti.

 

 

 

LA PREPARAZIONE DEL TERRENO

Nell’intervista a Repubblica che ha provocato la reazione della premier, Amato afferma di essere d’accordo con chi crede che l’elezione diretta del primo ministro «stravolge il sistema parlamentare democratico previsto dalla Costituzione». Sulla sponda progressista sono tanti i giuristi che la pensano così. Come Gaetano Azzariti, il quale sul Manifesto ha scritto che con la riforma del premierato «si toccano principi supremi con una disinvoltura sorprendente». E le due parole magiche, «principi supremi», non le ha messe lì a caso.

Anche l’articolo apparso ieri sulla Stampa a firma di Donatella Stasio è rivelatore. Facendo un ardito confronto con una decisione della Corte suprema d’Israele, dove non c’è nemmeno una vera Costituzione scritta, sostiene che quella sentenza «molto ci dice anche delle vicende italiane, dei rapporti tra governo e organi di garanzia, e della possibilità che, come sostengono molti costituzionalisti, il “premierato all’italiana” voluto da Meloni possa essere censurato dalla Consulta per violazione dei “principi supremi” della Costituzione». Stasio ha appena scritto un libro con Amato, è stata responsabile della comunicazione della Corte costituzionale e per anni ha avuto una rubrica sul sito di Magistratura democratica: ciò che sostiene rispecchia bene quell’ambiente e le sue intenzioni. È la preparazione del terreno su cui la sinistra conta di assestare in extremis il colpo letale al premierato. Se la riforma arriverà al traguardo e sarà confermata dal referendum, l’ultima parola spetterà alla Consulta, che dovrà rispondere alla domanda: l’elezione diretta del capo del governo è in contrasto con i principi e i valori della Costituzione? Il coro dei «sì» è già partito, ed è composto da chi, dopo annidi quasi-monopolio della sinistra, ritiene uno sfregio alla democrazia l’elezione di quattro giudici costituzionali da parte della coalizione di destra-centro. Perché quelli sono i giudici che potrebbero fare la differenza nel momento decisivo. La battaglia, insomma, è appena iniziata, i colpi duri dobbiamo ancora vederli. Lì, sul premierato, Meloni e i suoi avversari si giocano tutto.

 

 

 

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