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Pierluigi Bersani contro la destra evoca il terrorismo

Pierluigi Bersani

Francesco Storace
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E anche Pierluigi Bersani celo siamo giocato. A furia di andare in televisione per tentare di rammendare gli strappi a sinistra, quello che era un leader apprezzato e stimabile si è trasformato. La sua bonomia diventa autentico pericolo quando spara tesi incredibili che non dovrebbero avere diritto di cittadinanza. E passi persino sull’accostamento infelice tra pistole e virilità che contagerebbe la destra italiana, come ha fatto l’altra sera a Otto e mezzo facendo scoppiare a ridere anche la nostra Brunella Bolloli, mentre Lilli Gruber si preoccupava delle dimensioni dell’organo maschile. Amen.

Ma è sul caso del giorno – diventato tale perché la sinistra ha fatto spallucce per 46 anni – che Bersani ha dato il massimo di sé, ma in negativo: Acca Larentia diventa il pretesto per lasciare sospesa in aria quella che detta da un altro apparirebbe come una minaccia intollerabile. Quei saluti romani diventano l’alibi per un possibile terrorismo di ritorno dal campo rosso.

Senza provare alcun imbarazzo, l’anziano leader ha tentato di buttare addosso al governo e in particolare alla Meloni l’accusa di far rischiare all’Italia il ritorno ad una stagione violenta e già vissuta.

 

 

GIOCO PERICOLOSO - Siccome la premier non condanna – e non si capisce a che titolo glielo chieda, non è un giudice – quella manifestazione in via Acca Larentia per commemorare tre ragazzi rimasti senza giustizia – e qui Bersani, va detto, lo ammette – c’è la possibilità che arrivi qualcuno a fare da solo. Che cosa, onorevole? «Se non ci pensa il governo, se non ci pensa la politica, arriverà qualche matto in Italia che penserà di doverci pensare lui. La conosciamo l’Italia. Fermiamola questa cosa qui». Già. Ma quando qualche matto arriverà, perché prima o poi arriverà, sarà colpa della Meloni odi chi continua ad agitare lo spettro del fascismo?

Di più. Conosciamo Bersani, conoscevamo Bersani, come persona responsabile. Sentirgli dire che «arriverà qualche matto», sembra quasi evocarlo. È un male dire certe cose, onorevole. Perché così si esalta, quel “matto”, esattamente come è successo per troppi anni, che chiamammo anni di piombo. Accadde proprio nel nome dell’antifascismo militante, che “giustificò” la strage di via Acca Larentia.

Bersani riprenda il discorso con cui Giorgia Meloni ha inaugurato la sua stagione di governo, alla Camera dei deputati. La premier ne parlò di antifascismo, e ricordò quello che si fregiava del titolo di “militante” per aggredire a colpi di chiave inglese giovani missini fino ad ammazzarli. Quel riferimento era a Sergio Ramelli, ucciso a Milano, ma non è differente da quel che accadde (e “motivò”) a via Acca Larentia, dove gli estremisti rossi spararono a colpi di Skorpion per uccidere Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, ferendo altri iscritti di quella sezione. E negli scontri successivi con le Forze dell’ordine, ci rimise la vita anche Stefano Recchioni.

 

 

CACCIA AL NEMICO - I “matti” ci sono già stati, vorremmo dire a Bersani, proprio in nome di quella religione politica che demonizzava gli avversari, a partire dai quartieri più popolari dove avvenne quell’agguato. E ora dobbiamo sentirci propinare una giustificazione anche per chi un domani dovesse arrivare con le peggiori intenzioni per punire quei saluti romani? È proprio sbagliato come ragionamento. Se dite alla premier di invitare quei ragazzi “a smetterla” – sempre Bersani – dov’è invece l’atteggiamento responsabile di una sinistra che continua ad evocare il rischio di un fascismo che non esiste? È speculazione e basta quella messa in onda nella trasmissione della Gruber dall’onorevole Bersani. È un richiamo alle origini per tentare di rendere viva una militanza politica che non trova più argomenti di lotta su cui potersi impegnare. Ad essere davvero pericolosa – di nuovo – è una sinistra a caccia del nemico. Cominciò così anche allora, fino a veder manifestarsi quell’estremismo omicida che provocò vittime. E che poi si accanì contro il nemico più vicino, perché non ci sfugge certo la stessa lotta finale delle Br contro il Pci.

Ad evocare quei tempi dimostrate, caro Bersani, che i matti siete proprio voi. Perché con le vostre parole, con i vostri atteggiamenti, con le vostre urla, date fiato a quelli che non vedono l’ora di trasferirsi dai social sotto le case altrui. Quella stagione di sangue cominciò con le “sedicenti” Brigate rosse, con quelli che definivate «i compagni che sbagliano». Attenti a non sbagliare voi, oggi. Bersani recuperi la sua antica bonomia e non si trasformi in un involontario istigatore di un terrorismo rosso di nuovo conio. 

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