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Renato Soru stronca il Pd: "Sa solo rincorrere i grillini. E a mia figlia dico..."

Francesco Specchia
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S’homine bonu faeddat in cara, l’uomo onesto parla in faccia, dicono da queste parti. Il riferimento inevitabile è a Renato Soru, ancora una volta candidato governatore della Sardegna. E ancora una volta destinato a inzeppare di esplosivo al plastico il suo (ex) partito- il Pd alleato con il M5S; e, contemporaneamente ad addurre lutti al centrodestra. Vasto programma, il suo. Soru, 66 anni è passato – come tutti i sardi - sotto lo schiacciasassi della morte di Gigi Riva. E, dal suo palazzetto in marmo d’Orosei sul santuario di Bonaria, ha appena abbandonato il lutto. Soru se ne sta seduto, bastone in mano, nel salotto che fa molto loft newyorkese. L’eloquio è sussurrato, lo sguardo vagola tra i libri infilati in ossessivo ordine borgesiano negli scaffali. Questo è il suo 50° colloquio della settimana. “Mr. Tiscali” accende la miccia con distacco molto sardo.

Perché questo suo ritorno fiero e vendicativo?
«Ma no. Non sono il Conte di Montecristo. Il mio percorso politico ha avuto sì, alti e bassi, è stato funestato anche da eventi giudiziari da cui sono stato totalmente assolto ma che mi hanno cambiato le prospettive. Sono stato per anni lontano dal dibattito pubblico anche se ritengo che, rispetto ai tempi in cui facevo parte di una direzione del Pd assai fervida (ai tempi di Veltroni), ho ancora molto da dire. Ricordo ancora i dibattiti accesi sullo Statuto dei lavoratori, sulle comunità di destino come barometro e della stabilità delle società; c’era la volontà di focalizzare un progetto».

Intende dire che il Pd non ha progetti? E quindi lei è pronto a bombardarlo?
«Diciamo che il Pd nei territori specie in Sardegna e in Sicilia non è mai nato, sacrificato ai vecchi gruppi di potere che ancora imperversano. Non c’è il senso di un progetto comunitario, c’è solo una segretaria asserragliata, affannosamente in rincorsa del Movimento Cinque Stelle, e per ottenere un ruolo subalterno al loro populismo, ad un’idea di bestie sociali. Prenda il Mes: Conte ha votato contro, rischiando di mettere in crisi il sistema delle famiglie italiane».

Veramente io non le ho chiesto di Conte, le ho chiesto di Schlein.
«Non mi fido della Schlein e non mi fido della Todde (Alessandra Todde, candidata del centrosinistra, ndr). E figuriamoci se mi fido dei 5 Stelle...».

Non è che Soru crea una formazione civica perché dal Nazareno non se lo sono filato?
«Guardi, per me Schlein sta sacrificando l’autonomia dei partiti locali in atti arroganti e senza coerenza. Sa quante volte ho chiesto alla segretaria di fare le primarie? Non mi ha mai risposto. Mai. Così ho fatto una proposta. Se il Pd non riesce a fare un’azione di rottura e di ripartenza, la farò io».

Alcuni dicono che lei sia uno dei pochi ad avere una visione della Sardegna che sta nel valorizzare al massimo le risorse immateriali.
«Sì..»

Ma che quella visione, in fondo, sia già stata bocciata.
«La mia idea di Sardegna è stata integrata, negli anni, alla luce di molti nuovi elementi. Eravamo dei pionieri sulle Tlc, col web. Oggi, col vento che spira, possiamo esserlo anche nell’agricoltura verde, nel turismo. Sa quanto potrebbe avere la Sardegna a disposizione di fondi europei?»

Non ho fatto i conti.
«Ben 10 miliardi tra fondi strutturali e di coesione aumentati del 50% (siamo tornati nell’ “Obiettivo 1” della Ue, siamo tornati più poveri...). Eppoi ci metta anche i Progetti operativi regionali e i piani di sviluppo rurale. Altra cosa, i Just Transition Fund per le rinnovabili: soltanto il Sulcis e Taranto hanno a disposizione più di 370 milioni per la riconversione energetica. Per non dire dei 2,5 miliardi del Pnrr. Poi ci sono rimasti più del 20% dei fondi delle programmazioni 2020/27. Con tutto questo possiamo essere all’avanguardia sulle transazioni verdi e digitali, su trasporti, istruzione».

Lei mi ricorda quando il suo collega Nichi Grauso, negli anni 90 anticipò Internet, rendendola Sardegna la nuova frontiera kennedyana.
«Eravamo impreparati alla prima e alla seconda rivoluzione industriale. Possiamo essere all’avanguardia sulla terza. Nichi Grauso che è sempre avanti, per esempio, la pensa come me: ho in lista il suo giovane nipote (in quel momento, connessione telepatica, arriva un WhattsApp da Grauso da sotto la sede di un comitato elettorale, ndr)».

La rimproverano di avere tra le sue liste sia Calenda sia Libero, il partito la cui leader mette sui social le foto dei deltaplani di Hamas. Non la imbarazza?
«Liberu ha già spiegato che l’appoggio non era affatto per Hamas ma per i palestinesi. E io dico che la strage dei kibbutz è stato quanto di più orribile. Ciò non toglie che la situazione in Israele è complessa, io sono per i due popoli due stati. Però il fine ultimo è dare all’isola un partito maggioritario con una politica nuova fatta di testa, cuore e gambe. Una roba tipo l'Union Valdôtaine o il Südtiroler Volkspartei, oppure pensi alla Catalogna, alla Scozia. Dialogo con tutti sul progetto dell’autonomia».

Fa discutere la “faida” interna tra lei e sua figlia Camilla, candidata nelle liste del Pd. È vero che non vi vedete da prima di Natale?
«Se permette, questo lo tengo per me. A mia figlia voglio molto bene. Ma sono anche preoccupato per l’esito di questa sua avventura politica. La politica – l’ho provato sulla mia pelle - ti dà la scossa e ti esalta con momenti belli, però, poi, c’è la fase dello sconforto e delusione, che vanno gestite. Io rispetto il suo pensiero libero, e spesso, negli anni, siamo entrati in urto, non è la prima volta. Solo che in questo caso la cosa non è rientrata, e ne è stato dato troppo risalto mediatico. Però i miei altri due figli Vienna e Michelangelo sono molto felici di organizzarmi la campagna elettorale, e sono estremamente operativi».

Un tempo lei si sarebbe inferocito. Molti dicono che Soru abbia migliorato il carattere anche a causa delle vicende giudiziarie.
«Bah, le sconfitte plasmano. La giustizia si evolve con la società, e molte vicende onestamente non appaiono lineari. In linea di massima la giustizia oggi funziona meglio di quella di 50 anni fa (da noi c’era il codice barbaricino), e tra 50 anni sarà migliore di quella di adesso. Non sono un amante dei retroscena dei palazzi di giustizia. E mi rifiuto di perdere la fiducia nei giudici. Però...»

Però può aver ragione il ministro Nordio?
«Confido nell’idea principale delle riforma Nordio: il processo in sé è già una pena, per questo dev’essere il più veloce possibile. Vale per i tempi della prescrizione e per quelli del giusto processo. Il giustizialismo non ha fatto bene al centrosinistra...». 

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