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Maurizio Landini sbotta e querela Carlo Calenda

Sandro Iacometti
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Maurizio Landini continua a contare frottole. Sempre le stesse, come un disco rotto. Anche ieri, la mattina a Restart su Rai Tre eil pomeriggio all’Università Roma Tre ha riproposto quello che è diventato uno dei suoi ultimi cavallo di battaglia del filone “negazionismo economico”: dimostrare che anche di fronte ai numeri da record certificati da Istat e Inps sull’occupazione, l’Italia resta il regno del precariato. Operazione complicata? Macché. Basta giocare un po’ coi dati e declamare che dei rapporti di lavoro attivati nel 2023 solo il 15% è a tempo indeterminato. Accipicchia, una bella fregatura. Poi, però vai a guardare la tipologia dei contratti in essere aggiornata a novembre e ti accorgi che su 23,7 milioni di occupati (record storico dal 1977, da quando esistono le rilevazioni Istat) circa 16 milioni hanno il posto fisso (altro record storico italiano). In altre parole, due lavoratori su tre hanno un contratto a tempo indeterminato.

BASTA CONFRONTO

Guai, però, a dirlo al leader della Cgil. Una volta, quando c’erano i Di Vittorio, i Lama, i Trentin, il contraddittorio era all’ordine del giorno. Si davano e si prendevano, senza farne una questione di vita o di morte. Anzi, il confronto, anche aspro, era il pane del sindacalista, abituato a battagliare nei consigli di fabbrica e nelle assemblee dei lavoratori. Ma da allora sembrano passate ere geologiche. Non solo Landini ora nel dibattito televisivo gradisce essere da solo o, tuttalpiù, in compagnia di qualche giornalista stellato, spinto dal blasone e dalla reputazione conquistata nel tempo ad essere più garbato nei modi e nei contenuti. Ma succede anche che chi si permette di mettere in discussione il verbo del segretario supremo, invece di essere contestato, viene querelato. È capitato già a diversi giornalisti e ieri è capitato pure a Carlo Calenda, reo di aver accusato Landini di tenere sotto tono la polemica sulla fuga di Stellantis dall’Italia per non perdere la vetrina mediatica che i giornali del gruppo Exor (stiamo sempre parlando dell’impero Agnelli-Elkann) gli dedicano con grande generosità.

Avrebbe potuto dire che sono tutte fandonie e scagliarsi subito contro le politiche industriali di Stellantis, avrebbe potuto soprassedere con signorilità considerando le accuse non degne di risposta, avrebbe potuto accettare un confronto tv con Calenda, che peraltro il leader di azione chiede da tempo. E invece no. Di fronte alle insinuazioni del politico, il segretario della Cgil, sempre durante la diretta di Restart, incalzato forse più di quello che si aspettava dalla conduttrice Annalisa Bruchi e dal vicedirettore del Corriere Aldo Cazzullo, che senza rinunciare al garbo hanno comunque tirato fuori le unghie, ha annunciato che «Calenda risponderà dove deve rispondere» perché lui, Landini, «non ci sta a questo livello di discussione».

E perché la Cgil e la Fiom sulla Fiat, ha proseguito il sindacalista riferendosi alla contrapposizione col compianto Marchionne di dieci anni fa, hanno sempre avuto una linea precisa, «hanno contestato, non hanno firmato accordi e hanno pagato un prezzo». È andata proprio così? Non per Calenda, secondo cui Landini ha fatto una battaglia contro Marchionne mentre la produzione di Fca saliva da circa 350.000 autoveicoli a più di 1 milione e quando Marchionne ha comprato la Chrysler, «Landini ha definito quell'acquisizione, in cui non si metteva un soldo, un pericolo per i posti di lavoro in Italia». E arriviamo ad oggi. «Da quando Elkann», spiega Calenda, «ha comprato Repubblica è cambiato tutto, Landini ha detto che la vendita di Fiat a Stellantis è una grande operazione, e davanti al fatto che Fiat ha già diminuito di 7.000 unità il suo personale in Italia, che c'è la totale incertezza sugli investimenti e c'è un numero di brevetti bassissimo, non ha quasi mai nominato la parola Stellantis».

In ogni caso Calenda è disposto a confrontarsi ovunque con Landini, anche in tribunale, dove rinuncerà a qualsiasi immunità che possa derivare dal ruolo di parlamentare. «È un fatto inaudito e senza precedenti una querela di un segretario della Cgil verso un senatore. E per questo», ha spiegato il leader di Azione, «Landini ha già perso. Ma lo affronterò a viso aperto».

 

 

 

CARTE BOLLATE

D’altra parte, l’amore per la carte bollate non sembra per il sindacalista una passione fuggevole. Destinata ad esprimersi solo nei confronti dei contestatori. La via giudiziaria della lotta sindacale pare essere la nuova strategia della Cgil, anche per combattere il lavoro povero e i salari bassi. Di fronte alle insistenti domande della Bruchi, forse da oggi anche lei nel mirino degli avvocati del sindacato rosso, sui contratti a 5 euro firmati dalla Cgil, Landini prima si è difeso sostenendo che quel contratto (quello della vigilanza privata) aspettava da 10 anni il rinnovo, poi dicendo che le condizioni oggettive non consentivano altro ed è per questo che bisogna fare le riforme sul salario minimo e contro i contratti pirata. Alla fine, di fronte all’ennesima richiesta di chiarimento della conduttrice, il sindacalista, evidentemente non sapendo più come giustificarsi, ha detto che, appellandosi alla recente sentenza della Cassazione, farà causa per denunciare l’incostituzionalità del salario. Peccato che l’azione giudiziaria sarà contro un contratto firmato proprio da lui. «In pratica», ha sintetizzato efficacemente la Bruchi, «si farà causa da solo». Bizzarro. Ma il nuovo sindacato sembra pieno di sorprese. 

 

 

 

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