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Maurizio Leo, "evasione come il terrorismo": caro viceministro, così è troppo

Giovanni Sallusti
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Di fronte alla latitanza cronica della sinistra versione Elly, la tentazione peggiore in cui può cadere la destra è quella di provvedere in proprio, e fare anche la sinistra. Non sappiamo se sia un residuo ingiustificato di sudditanza culturale, o all’opposto un eccesso di confidenza, la volontà di coprire l’intero campo di gioco. Certo le parole consegnate ieri alla commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria (sì, pare proprio che qualcosa del genere esista) dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo non sono sembrate un puro distillato di liberalismo, non hanno rievocato esattamente la Thatcher, ma nemmeno la vecchia sapienza democristiana.

Aveva esordito anche bene, il viceministro, parlando così della legge delega sulla riforma fiscale: «Questo provvedimento inaugura un nuovo tipo di rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuente», un rapporto «collaborativo e di fiducia». E Dio sa se ce n’è bisogno, in un Paese in cui troppo a lungo il cittadino è stato sottoposto a quella barbarie concettuale e costituzionale che è l’inversione fattuale dell’onere della prova, la presunzione di colpevolezza davanti al Fisco.

 

 

 

Poi, però, Leo si è inspiegabilmente avventurato in un’analogia più che zoppiccante: «Dovremmo ragionare col Garante della privacy sul fatto che l’evasione fiscale è come un macigno tipo il terrorismo». Motivo per cui «quello che si deve fare, ed è quello su cui stiamo lavorando con l’Agenzia delle Entrate, è il cosiddetto data scraping, considerando cioè anche i dati sul tenore di vita che professionisti e imprenditori pubblicano sui social». Tradotto dall’ovatta ministeriale: il saccheggio online delle vite degli altri, una versione della Ddr aggiornata all’era della Silicon Valley.

Intendiamoci, tra l’obiettivo di una fiscalità giusta e non punitiva e il giustificazionismo sull’evasione c’è l’abisso che divide lo Stato di diritto dall’istigazione a delinquere, ed è chiaro dove debba collocarsi un centrodestra serio. Perché ha ragione Leo, 80-100 miliardi di evasione fiscale sono una patologia. Ma per questo non c’era bisogno di lui, ce lo poteva dire anche il trio Schlein-Conte-Speranza, riunito l’altro giorno per presentare il libro dell’ex ministro della Salute. Lo sguardo liberal-conservatore dovrebbe cogliere anche l’altra patologia, vedere anche l’altra metà della mela italica: la stortura di un Paese dove si lavora metà anno per il socio (pubblico) occulto, quella che Reagan chiamava “la Bestia”, e che invitava ad “affamare”.

 

 

 

Ebbene, in Italia essa è ancora troppo vorace, visto che il Tax Freedom Day (il giorno in cui mediamente il contribuente smette di alimentare lo Stato e inizia a guadagnare per sé) nel 2023 è caduto il 7 giugno. Quasi sei mesi di vita su dodici non sono una statistica, sono il dramma prolungato dell’artigiano, del piccolo imprenditore, della partita Iva. Un calvario che genera anche fenomeni di evasione di sopravvivenza, la scelta obbligata tra il Leviatano e i collaboratori, che in quelle realtà sono famigliari stretti. Reati, indiscutibilmente, ma non equivalenti a chi sequestra e mette bombe, non terrorismo, caro viceministro, non edulcoriamo il senso delle parole fino a tradirlo, non facciamo come i progressisti. Soprattutto, non inauguriamo un’orwelliana Psicopolizia social, il setaccio degli stili di vita, dei ristoranti postati, degli hobby e delle amicizie. Fosse solo, ci pensi caro Leo, perché nella specialità è molto più bravo, e più coerente, il compagno Speranza. 

 

 

 

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