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Lega, la proposta: "10mila riservisti per difendere l'Italia"

Francesco Specchia
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Non sparate sul riservista. C’è un che di patriottico, c’è il lampo della preveggenza, c’è finanche una presa di coscienza sullo stato del nostro Esercito, nella proposta della Lega di una «riserva ausiliaria». Lo scenario della geopolitica lo richiede. Qua trattiamo del disegno di legge presentato da Nino Minardo padano Presidente della Commissione Difesa di Montecitorio sulla creazione, appunto, di una riserva militare italica, sul modello della Guardia Nazionale americana, di Israele e della Svizzera.

Roba «da mobilitare rapidamente in caso di grave minaccia per la sicurezza del Paese o di stato d’emergenza». Il modello del riservista perfetto si adatta alle esigenze internazionali. In mancanza di un esercito unico europeo, in attesa dell’aumento delle spese di settore, e col ritorno possibile di Trump a minacciare lo svuotamento della Nato; be’, «10mila riservisti mobilitati dal governo in 48 ore» possono rappresentare una soluzione. Ma non è previsto alcunché di coercitivo, si badi. Si tratterebbe di attingere a un bacino di volontari con età non superiore a 40 anni, «esclusivamente cittadini italiani che hanno già prestato servizio come Volontari in Ferma Triennale o Volontari in Ferma Iniziale e che attualmente sono in congedo».

 

GLI ANTIMILITARISTI
Tutto ciò, viene fatto notare, «consentirebbe di selezionare personale già formato e addestrato dalle Forze Armate e di fatto idoneo ad essere utilmente e rapidamente mobilitato». Naturalmente, l’antimilitarismo è veloce di lombi, e, alla notizia, ecco subito levarsi le voci del dissenso. Pochine, a dire il vero. Per Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, la proposta leghista è praticamente Apocalypse Now con sottofondo di elicotteri e mitragliatrici; poiché il ddl leghista porterebbe a «un gruppo armato pronto a sparare agli ordini di un presidente del Consiglio, magari eletto dal popolo come vuole Meloni, una ulteriore ferita alla democrazia...». Naturalmente, la suddetta è una profezia pessimistica. Al punto 4 dell’articolo unico della proposta di legge, «la decisione di mobilitare la riserva» non spetterebbe al governo, ma «è comunicata tempestivamente alle Camere, che l’autorizzano o la respingono entro quarantotto ore dalla data della sua formalizzazione».

Tra l’altro, il progetto della “riserva” ha poco di nuovo. In realtà, la creazione di un corpo di riservisti esiste già da tempo: fu stabilita da una legge dell’agosto 2022, mai attuata. Già Guido Crosetto, il 7 novembre scorso, in audizione presso le commissioni Difesa di Camera e Senato, presagì un necessario restyling dell’intera architettura difensiva del Paese. E, in quel frangente tra una revisione della partecipazione alle missioni internazionali e una denuncia dei conflitti ibridi accesi da Russia, Iran, Corea del nord,Cina - il ministro della Difesa evocò la mitica «riserva ausiliaria». E parlò semplicemente di «attività in campo logistico nonché di cooperazione civile-militar». Cioè, di un coinvolgimento tutt’altro che diretto nelle operazioni militari, ma in loro supporto con conseguente impiego più razionale «dei militari attivi in funzioni operative».

Allora si parlò anche dell’incremento del personale “attivo” delle Forze armate a 160mila unità (rispetto alle attuali 150mila). E quelle 10mila unità in più, avrebbero dovuto comprendere «professionalità specifiche», tipo hacker o espertoni di intelligenza artificiale. Cosa che, conoscendo le dotazioni e le attività dell’esercito attuale, richiederebbe – diciamolo- un suppletivo di elaborazione. Ma quello è un altro corno del problema. Dopo Crosetto, il 15 novembre, anche Giuseppe Cavo Dragone, il capo di Stato maggiore della Difesa, riferì in Senato sul Documento programmatico - periodo 2023-2025 citando la riserva ausiliaria.

 

Che avrebbe dovuto costituirsi da «personale proveniente dal mondo civile e da pregressa esperienza militare». Il percorso dei riservisti doveva prevedere «periodi di addestramento non troppo invasivi»: i volontari potevano «non essere mandati necessariamente in prima linea» (sic), ma rimanere a coprire posizioni secondarie, mentre le zone a rischio erano appannaggio dei professionisti. «È un’idea che dobbiamo sviluppare», disse Dragone. Infatti, adesso l’hanno sviluppata. Oggi, la strada da seguire resta quella isrealiana.

Dopo l’eccidio di Hamas del 7 ottobre, i riservisti ebrei mobilitati erano diventati 360mila più della guerra dello Yom Kippur del ‘73 (che erano già 400mila). Nei primi giorni di chiamata circa il 4% dei 9,8 milioni di israeliani lasciò le proprie famiglie e i normali lavori per unirsi all’esercito. Certo, il sistema dei riservisti israeliano è abbastanza unico in Occidente, laddove fino a poco fa dominava la leva obbligatoria.

ORGOGLIO PATRIO
Certo, da Gerusalemme si leva l’urlo di dolore di un’intero popolo che diventa orgoglioso grido di battaglia; e richiede dosi massicce di patria e mobilitazione immediata. L’ampia partecipazione di “civili”, spesso senza esenzioni di età e salute, alla difesa militare del paese è un segno identitario della storia di Israele, sin dalla fondazione. Da noi sarebbe più complesso. Per dire: il Parlamento italiano vive nel paradosso di avere parte dei suoi pacifisti d’opposizione recordman di invio d’armi quando erano al governo. Nell’attesa di un riordino generale, inserirci nella scia di Gersulemme è un buon passo avanti...

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