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Sardegna, la lezione: non basta unirsi contro la sinistra, gli elettori puniscono liti e ripicche

Corrado Ocone
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C’è un elemento che colpisce oggi che le elezioni in Sardegna sono giunte a conclusione: la sicurezza con la quale il centrodestra ha creduto, almeno fino a pochi giorni prima del voto, di avere la vittoria in tasca. Non è forse un caso che la querelle interna sulla scelta del candidato sia stata affrontata a riflettori aperti, quasi come se lo spettacolo messo in scena non potesse avere nessuna conseguenza sull’elettorato.

Quella sicumera, scopriamo oggi, era mal riposta. È il segnale che il vento è cambiato, come si è affrettata a dire una Schlein sempre più a corto di argomenti e a rimorchio politico di Conte? Non scherziamo! La vittoria della Todde, che fra l’altro si è guardata bene dal mettere in gioco in campagna elettorale i leader nazionali, è più che altro il frutto di una serie di errori a catena commessi dagli avversari, nonché del naturale desiderio di novità che anima oggi gli elettori.

IL SEGNALE
Quella vittoria è però soprattutto una segnale inviato alla destra. L’impressione è che la destra, infatti, si stia troppo cullando su un dato pure a suo modo indubitabile, cioè che la stragrande maggioranza degli italiani non si riconoscano in questa sinistra lontana dai problemi reali e in preda ai fumi dell’ideologia. È vero, ma ciò non significa affatto che essa sia schierata a prescindere. Diciamo solo che la destra politica ha saputo intercettare domande concrete provenienti dalla società e per questo è stata premiata. 

 

La verità è che oggi, in tutti i Paesi occidentali e in Italia in particolar modo, l’epoca delle appartenenze forti è finita e l’elettorato è mobile e fluttuante. Questo significa che, oltre le apparenze, è anche molto più esigente: non vota per il partito anche se sbaglia, ma è pronto a punire chi prima ha votato se ritiene che ora stia sbagliando e non si stia dimostrando all’altezza delle richieste che gli aveva avanzato votandolo. Che la richiesta predominante sia da qualche decennio, da parte dell’elettorato italiano, di novità e discontinuità, prima di tutto rispetto a quell’ideologia fortemente tesa a sinistra che ha dominato per decenni la società e la politica nazionale, a me sembra evidente.

 

CONTINUITÀ
Dopo la “stagione berlusconiana”, i successi di Renzi, prima, dei Cinque Stelle, della Lega di Salvini e di Meloni, poi, si iscrivono tutti in una linea di continuità, pur nella differenza specifica e enorme fra i vari protagonisti. La forza vera del centrodestra è oggi quella di tradurre quella novità in politiche concrete e attente ai cittadini, mostrandosi unito e coeso sui valori e sulle scelte di fondo. Ora, sono proprio questi due elementi che son venuti meno in Sardegna: i problemi dei sardi son sembrati quasi passare in secondo piano rispetto alle dinamiche nazionali; e quanto alla coesione, beh è meglio non parlarne! 

Ora, i leader della destra hanno davanti a sé due strade: o far tesoro dell’esperienza, come hanno saputo fare dopo le altrettanto fallimentari elezioni comunali di Roma e Milano, o continuare su una strada che li porterà di nuovo a sbattere. Tutti, senza distinzione. È qui che si misurerà la loro capacità di leadership. Certo, il sistema di voto per le europee potrebbe complicare questo processo, ma è proprio ciò che è complicato che aguzza l’ingegno dei grandi politici e fa dire ai posteri che quelle che «parean traversie, erano invece opportunità». Che volete che interessi agli italiani se un partito stia a Strasburgo con il gruppo della Le Pen, con quello dei conservatori o con i popolari? Il loro interesse comune è che questa Ue vessatoria e inconcludente cambi strada. E che i partiti di destra, indipendemente dalle strade seguite e dai compagni di viaggio scelti, si mostrino coesi su questo obiettivo comune.

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