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Giuseppe Conte, il bluff sulla spallata al governo: l'ultima illusione del grillino

 Giuseppe Conte

Fabio Rubini
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Qualcuno deve spiegare a Giuseppe Conte, uno dei leader del “campo largo”, che l’Italia non funziona come gli Stati Uniti d’America e che l’Abruzzo non è l’Iowa, uno swing State- Stato in bilico - determinante per l’elezione del presidente. Lo scriviamo perché dopo la smargiassata di venerdì dello sfidante Luciano D’Amico «vinco con oltre il 52% dei voti» - ieri è toccato proprio al leader dei Cinquestelle cimentarsi in una spericolata analisi politica sul reale valore del voto in Abruzzo.

Parlando con Repubblica, Conte ha spiegato che «dopo 17 mesi di governo Meloni, 17 mesi di promesse tradite, il vento sta cambiando direzione» e che «Meloni 5 anni così non può pensare di governare». E l’Abruzzo che c’entra? C’entra perché, spiega Conte, «il vento è cambiato anche qui», anzi soprattutto da qui e allora ecco che sempre seguendo il ragionamento del leader Cinquestelle - se il centrodestra dopo la Sardegna dovesse perdere anche l’Abruzzo, arriverebbe quella «spallata» decisiva per mettere in discussione la tenuta del governo e mandare tutti a casa. «Che ha fatto fin qui Meloni?» si chiede ancora Conte, «Promesse tradite, ricette insufficienti. Non si rendono conto che la situazione va affrontata, non riescono a portare soluzioni su nulla: per le imprese, per gli investimenti, per le politiche del lavoro. Niente. Quindi chiude il ragionamento il grillino - pian piano, anche a livello nazionale si sta realizzando una consapevolezza, che farà virare il vento in un’altra direzione», cioè verso le elezioni.

 

IL NODO ALLEANZE
A questo proposito Conte a Repubblica dice anche altro, perché con un realismo poco consono ai grillini spiega che «da soli non siamo autosufficienti. Siamo ambiziosi, sì, ma il 50,1% non credo che lo prenderemo» e allora «servono le alleanze e il Pd è un protagonista del nostro campo, il campo progressista». L’idea dell’ex premier è chiara: «Se si costruiscono coalizioni coese, cioè con un programma serio e con interpreti affidabili, si può competere a qualsiasi livello, dal Comune, alla Regione, a livello nazionale».

Fin qui il libro dei sogni di Conte. Poi c’è la realtà che è quella che rischia di rovinare i suoi piani. Intanto perché, come detto all’inizio, l’Abruzzo non è e non sarà determinate per la tenuta della coalizione. Con tutto il rispetto per chi ci abita, parliamo di una regione con poco più di un milione di votanti. Un po’ pochi per poter considerare il voto di oggi come un test nazionale. Poi perché a differenza del centrosinistra, che storicamente si sfalda alla prima battuta d’arresto, la coalizione di governo ha sempre dimostrato una compattezza da far invidia. Se si eccettua il ribaltone bossiano del 1995 - almeno due ere politiche fa - la coalizione si è sempre dimostrata granitica. Tanto che per farla fuori nel 2011, la penultima volta che è andata al governo con una maggioranza bulgara, ci è voluto un vero e proprio agguato internazionale a colpi di spread, confermato anni dopo dalle principali cancellerie europee. 

NUMERI E VERITÀ
Senza scomodare il passato, per capire quanto concreta sia la voglia di stare assieme, basta vedere il numero stratosferico di Comuni che la coalizione formata da Fdi, Lega e Fi governano saldamente da oltre un decennio. O ancora quello che è successo subito dopo la scoppola ricevuta in Sardegna: un vero e proprio colpo di reni che ha portato la coalizione di governo a chiudere con un accordo unitario tutte le partite che erano sul tavolo.

Al contrario il centrosinistra, ingolosito proprio dall’impresa sarda, sta litigando financo sul nome del candidato da proporre in Basilicata. E in Abruzzo non sono nemmeno riusciti ad organizzare una manifestazione unica, tanto diverse sono le visioni politiche dei vari leader, che hanno deciso di unirsi in un “campo larghissimo” buono per provare a portare a casa qualche altra poltrona.

A smentile la versione di Conte ci sono poi i numeri, a partire proprio da quelli della Sardegna, che hanno detto una cosa chiara: Todde ha vinto solo e soltanto per il voto disgiunto. Se si fossero contati i voti “politici”, quelli dati ai partiti, non ci sarebbe stata partita. Anzi, sull’isola rispetto alle politiche il centrodestra ha addirittura rafforzato la sua posizione di maggioranza. Altro che vento che sta cambiando». Per non parlare dei sondaggi che, seppur in una fase di calma piatta, dicono che se domani si andasse a votare la coalizione oggi al governo manterrebbe saldamente la maggioranza.

Gli stessi sondaggi dicono anche un’altra cosa: il 30% degli elettori di Giuseppe Conte non vogliono sentir parlare di campo largo e soprattutto di alleanze organiche con il Pd e con quel mondo di centro che poco c’azzecca con le follie grilline. Una bella grana per Conte, soprattutto in caso di elezioni politiche che, fortunatamente per lui, non ci saranno che fra tre anni e mezzo.

 

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