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Pd, Daniele Nahum lascia il partito: "Sdogana chi parla di genocidio di Israele"

Giorgia Petani
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Sdoganando la parola genocidio, si è scatenata un’ondata di antisemitismo che non ho mai visto in 41 anni. E questo mi sembra molto pericoloso». Per il consigliere comunale ed esponente della comunità ebraica, Daniele Nahum, che ha appena lasciato il Pd dopo una lunga militanza a causa delle visioni «ambigue» del suo partito in relazione al conflitto israelo-palestinese, le parole hanno un peso, anche quelle che non si dicono. Nahum lo scorso lunedì aveva tenuto a sottolineare in consiglio che non era in discussione «il mio appoggio totale a questa Giunta e al nostro Sindaco Beppe Sala», ma ad aver pesato sulla sua decisione è stato soprattutto il clima di luci e ombre «che si è creato in vari settori del mondo di sinistra dopo il 7 ottobre».

Quanto le è costato prendere una decisione del genere?
«Non è un lutto, ma sicuramente è stata una scelta molto sofferta. Dopo dieci lunghi anni di militanza politica, non è stato facile prendere questa decisione».

Qual è stato il motivo scatenante che le ha fatto decidere di compiere questa azione?
«Da un lato, c’è stata una politica nazionale poco chiara. Dall’altro sono rimasto colpito dal fatto che nessun esponente nazionale abbia redarguito i giovani democratici che sono andati alle manifestazioni pro Palestina dove vengono cantati slogan contro Israele come “Israele via via, Palestina terra mia” o “Fiume fino al mare, Palestina da Liberare”. Questi sono slogan per la cancellazione di Israele ed è gravissimo».

Lei, tra l’altro, non è mai stato contrario alle manifestazioni a favore della pace tra i due popoli.
«Non sono mai stato contrario alle manifestazioni a favore della pace tra i due popoli.
Ho sempre sostenuto che ci siano due stati, con due storie diverse, ma trovo sbagliato e folle sdoganare il termine genocidio. Non si sta compiendo un genocidio; nessuno ha la volontà di sterminare un popolo o di cancellarlo dalla storia».

Qual è il rischio a cui si va incontro?
«Sdoganando la parola genocidio, si è scatenata un’ondata di antisemitismo che non ho mai visto in 41 anni di vita, ed è pericoloso ciò che sta accadendo. Io ricevo quotidianamente insulti sui social; basta guardare i miei profili per accorgersene».

C’erano altri punti su cui lei era in disaccordo?
«In verità, dissento su molte questioni. Si è persa l’anima riformista del partito. Le elezioni si vincono anche conquistando un elettorato che in passato ha votato per altri partiti».

Un esempio?
«Abbiamo completamente trascurato le partite IVA e i lavoratori, i quali si sono affidati alle politiche di Meloni e Salvini».

 

 

Gli elettori sembrano però aver dato molta fiducia all’attuale Governo.
«Esatto, non si può tacciare le persone dicendo “non ne capite niente di politica”. Evidentemente li votano per ché trovano attrattive le loro politiche».

Che cosa deve fare la sinistra per riacquisire credibilità?
«Non si dovrebbe abbandonare il proprio elettorato; bisogna cercare di attrarlo con una visione più ampia, altrimenti il centro-sinistra rischia di scomparire. La soluzione non può essere il “campo largo”».

In Sardegna cosa è successo per lei?
«Il centrodestra ha scelto il candidato sbagliato. Basta guardare i dati: noi abbiamo ottenuto il 42,6 % mentre il centrodestra il 48,8. In Abruzzo abbiamo perso, quindi, forse il metodo attuale del centro sinistra non è la soluzione».

C’è stato qualcuno che le ha chiesto di rimanere? Ha avuto modo di sentire la segretaria del partito Elly Schlein?
«La segretaria del partito non mi ha chiamato, ma ho ricevuto diversi messaggi di sostegno da parte di altri esponenti nazionali. Ho sentito Lia Quartapelle, Bussolati, Fiano. Mi hanno chiesto di fare un passo indietro, ma non è possibile perché credo che il PD sia il perno del centro-sinistra, ma non vedo prospettive per tornare indietro».

Si augura che questo gesto possa fare da monito per il partito?
«Sì e mi auguro che il partito recepisca il messaggio. Vorrei che su temi così importanti, che incidono sulle vite delle persone, fossero trattati con maggiore serietà e in maniera più approfondita, perché quando si parla del conflitto israelo-palestinese, non esiste un torto e una ragione. Ci sono due storie e noi, dal confort delle nostre case, dovremmo avvicinare le persone».

 

 

Quale è la cosa che più l’ha fatta arrabbiare?
«Il fatto che non ci sia stata chiarezza e che mi abbiano sempre attaccato perché contesto la parola genocidio. Credo sia inaccettabile».

Dove si vede in futuro? C’è chi pensa che potrebbe approdare in Azione o Più Europa...
«È ancora presto per dirlo, ma la priorità per me resta quella di rafforzare l’area riformista, atlantista ed europeista. Come dicevo sono indigesto al campo largo».

Nei giorni scorsi a dare le dimissioni dalla carica di presidente dell’Anpi provinciale di Milano e del Comitato Permanente antifascista è stato anche Roberto Cenati. La scelta era stata presa in contrasto alla decisione dell’Anpi nazionale di partecipare a una manifestazione contro “il genocidio” a Gaza. Vi siete sentiti?
«Non abbiamo avuto contatti telefonici, ma la decisione di Roberto Cenati è indicativa di un clima poco positivo. Cenati ha mantenuto un equilibrio che ha evitato all’Anpi di cadere nel populismo. Penso che il centro sinistra debba riflettere attentamente anche su questo. Lo candiderò all’Ambrogino d'Oro».

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