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Università, ecco chi ha paura di quelle telematiche

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Marco Bassani
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Le università telematiche italiane hanno circa vent’anni di vita e stanno riscuotendo un grande successo che inevitabilmente ha creato una serie di contraccolpi. I rapper chiamano hater tutti coloro che invidiano il successo e odiano chi si staglia. E la sinistra ha ormai incominciato a odiare e non poco le università online. Tanto per mettere le carte in tavola, chi scrive si è appena trasferito ad un’università privata online dopo oltre un quarto di secolo di insegnamento in un’università pubblica in presenza. Le prime bordate erano iniziate la scorsa estate, quando la Crui (conferenza dei rettori delle università italiane) aveva reso noto che i colleghi delle telematiche non erano come loro. In pratica la Crui si dichiarava la lobby delle università tradizionali. Da allora si è assistito a un crescendo di prese di posizione a difesa dell’esistente, ossia di un mondo accademico per la più gran parte schierato con la sinistra, i sindacati e il pubblico impiego. Il culmine è stato raggiunto domenica scorsa, quando La Repubblica, l’organo ufficiale dell’opposizione, ha dedicato un’articolessa redatta da Corrado Zunino, che si è avvalso di un aiutantato di tutto rispetto, nel quale il mondo delle università online viene sottoposto ai raggi x. Attraverso un sapiente mix di statistiche, pettegolezzi, inesattezze e informazioni finanziarie (il semplice fatto che qualcuno con l’istruzione non ci perda è per la sinistra una cosa esecrabile), l’autorevole giornalista getta la peggior luce possibile su tutte le università online.

NO, LA CONCORRENZA NO
Sarebbe fin troppo facile segnalare i mandanti dell’attacco repubblichino. «La fabbrica delle lauree facili», questo è il titolo del saggio, è il tentativo dell’accademia organica al Pd e al sindacato di frenare il futuro, di tarpare le ali ai processi di cambiamento e modernizzazione che sono in corso, loro malgrado, anche nel campo dell’istruzione. I rettori invece di darsi da fare per migliorare l’istruzione superiore, la cui qualità e quantità colloca l’Italia nel gradino più basso fra i Paesi sviluppati, ad un passo dal terzo mondo indifferenziato, si rivolgono al monopolista dei monopolisti, lo Stato, affinché li salvi dalla concorrenza. Ma qui vi è qualcosa di ancora più grave della semplice difesa dell’esistente e dell’università pubblica, vera e propria riserva di caccia del Pd. Ci troviamo di fronte a un pregiudizio, tipico dei Paesi premoderni come il nostro, che sfocia in una sorta di neo luddismo, contro le nuove tecnologie. Avversate in quanto nuove e in quanto tecnologie. 

 

 


La sinistra si disvela così l’area politica dei papà ricchi che possono permettersi di mandare i figli nelle costosissime università in presenza. Non solo si schiera contro le famiglie meno abbienti che non si possono permettere di mandare i loro ragazzi a studiare in città, ma anche contro tutti quei trentenni volenterosi che cercano di conciliare studio e lavoro e ai quali le telematiche hanno offerto nuove opportunità. Nella lotta fra chi le tasse le produce e chi le tasse le consuma, la sinistra non ha dubbi su dove collocarsi. Quando fu inventato il telefono, gli amanti lo utilizzarono per simulare rapporti. Se la cosa poteva essere un palliativo della lontananza, solo poche persone sostennero che poteva essere il sostituto dell’amore. Lo stesso avvenne più di recente quando esplose la Rete. Tuttavia, la sfera erotica e amicale viene rifratta in modo come minimo distorto nelle realtà virtuali e il consiglio di “farsi una vita” a chi passa troppo tempo online è del tutto condivisibile. Nessuno al mondo ha però mai sostenuto che online non si possa imparare come e meglio che in presenza. Inadeguato dal punto di vista delle passioni, internet si rivela uno strumento eccezionale quando si tratta di veicolare fredda scienza e conoscenza.

MODELLO UNICO DA 25 SECOLI
Il fatto è che da venticinque secoli l’istruzione si svolge allo stesso identico modo. Da Platone fino all’ultimo dei professori del Novecento, l’accademia ha sempre proposto un unico modello: un gruppo più o meno ampio di studenti seduti e un professore che parla a ruota libera. Le nuove tecnologie obbligano a un ripensamento di tale modello e al fine anche a un’accettazione della potenziale superiorità delle lezioni strutturate, preparate, volte a convogliare idee e informazioni agli studenti. Perché nessuno ha mai sostenuto che online non si possa imparare e insegnare. Anzi, vi è un enorme vantaggio per il discente che può da un lato seguire le lezioni come e quando vuole, dall’altro usufruire di contenuti didatticamente strutturati e pensati per lui. Il vero peccato originale delle università online è che stanno in piedi o cadono solo grazie al gradimento degli studenti-consumatori e questo non può essere tollerato in un sistema come quello italiano in cui tutto ruota intorno ai professori e all’esaltazione del “pubblico” contro il “privato”.

La vera discriminante, in ogni caso, come ci mostrano tutti i migliori studi sull’apprendimento, è data dalla qualità del professore. I bambini, i giovani e gli adulti imparano di più e meglio dai maestri che sanno insegnare, indipendentemente dal mezzo di comunicazione utilizzato. Il sistema di reclutamento del personale docente è ovviamente unico e passa attraverso l’abilitazione scientifica nazionale. Tutti coloro che hanno a cuore l’accademia in questo Paese devono solo augurarsi che le università prendano sempre i migliori, che le commissioni concorsuali nazionali e locali scelgano gli studiosi più preparati, che gli studiosi si dimostrino anche buoni insegnanti. Per il resto ci vorrebbe una politica autenticamente maoista (ci sia concesso il paradosso) – che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino – ossia, libera istruzione in libero Stato dove ogni tipo di università possa prosperare. Vi sono milioni di giovani e meno giovani studenti che aspettano soltanto di essere istruiti, non foss’altro che per colmare l’enorme lacuna che ci separa dalle aree più sviluppate.

 

 

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