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Molinari, i suoi aggressori? Sono figli di Repubblica

Fausto Carioti
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Nel grande corto circuito della sinistra, Fabrizio De André calza a pennello: «Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti». I filo-Hamas hanno impedito a Maurizio Molinari di parlare all’università di Napoli: solidarietà. Ma lui e Repubblica sono lo stesso coinvolti. Gli estremisti che hanno impedito a Molinari di parlare sono figli legittimi della sinistra e del suo storico quotidiano di riferimento. Repubblica del 18 novembre è un esempio tra i tanti. A pagina 28 c’è un commento di Uri Davis, nato a Gerusalemme, membro del consiglio rivoluzionario di Fatah ed autore del libro Israele: uno Stato di Apartheid. Scrive sul quotidiano degli Elkann: «Non basta che in tutto il mondo le massicce manifestazioni di questi giorni dimostrino un sostegno crescente alla Palestina e la condanna dell’aggressione criminale di Israele. Sarà necessario boicottare i prodotti industriali e agricoli di Israele, boicottare le istituzioni accademiche, culturali e sportive dello Stato israeliano e varare anche sanzioni economiche internazionali come quelle che furono imposte alla Repubblica sudafricana segregazionista». Titolo: «Il problema è il sionismo».

Accanto c’è un articolo che illustra un’altra tesi, «Il problema è l’Olp», scritto dall’accademico israeliano Mordechai Kedar. Ma il problema è proprio questo: la par condicio, l’equivalenza morale tra chi accusa Israele di essere uno Stato para-nazista, dunque meritevole di boicottaggio accademico, culturale eccetera (quello che a Napoli è stato messo in atto contro il «sionista» Molinari: c’è coerenza) e chi, come Kedar, si permette di notare che «diverse organizzazioni terroristiche ancora attive ruotano nella galassia dell’Olp». La prima è la tesi degli estremisti che fanno il gioco di Hamas, la seconda un’ovvietà. Non che sia facile. Mettersi dalla parte delle vittime di Hamas senza perdere il contatto con la sinistra alla quale si pretende di parlare è un equilibrismo ai limiti dell’impossibile. Ilvo Diamanti, proprio su Repubblica, ci ha fatto un sondaggio a novembre: tra gli elettori di centro-sinistra, solo il 41% ritiene che «niente può giustificare un attacco come quello di Hamas». E appena il 33% crede che il governo debba «sostenere Israele insieme agli Stati Uniti e altri Paesi occidentali nel conflitto con Hamas» (ambedue le affermazioni sono condivise invece dalla maggioranza degli italiani di centro-destra).

 

 

 

Così si capisce il tono, ai limiti dell’accondiscendenza, con cui ieri Molinari ha commentato la vicenda: «Dopo aver annullato l’evento, ho proposto a questi manifestanti di incontrarli ed ascoltare le loro opinioni sulla guerra in corso in Medio Oriente e su qualsiasi altro tema avessero voluto ma purtroppo hanno rifiutato, dicendo che non erano interessati a incontrarmi e a parlarmi. Resto comunque aperto al dialogo con loro...». Fossero stati i collettivi neri, a negargli il diritto di parola, lui e gli altri avrebbero detto molto cose diverse.

Una tradizione che si rinnova. Lo scorso anno, quando ad Eugenia Roccella le femministe impedirono di presentare il libro al Salone di Torino, la sinistra si schierò dalla parte delle imbavagliatrici. Elly Schlein spiegò che il governo ha «un problema con ogni forma di dissenso» e Roberto Saviano riuscì a dire che quell’episodio era «quanto di più sano possa avvenire in una democrazia». Su Repubblica, il giorno dopo, l’aggressione fu raccontata come un episodio di normale dialettica, parteggiando comunque per il direttore del Salone, lo scrittore Nicola Lagioia, messo sotto accusa da Fdi per non aver saputo (o voluto) difendere la sua ospite da chi voleva silenziarla.

Così, come i maiali di George Orwell, dittatorelli e squadristi di sinistra diventano più uguali degli altri, meritevoli di riguardo. Poi, certo, capita anche che mordano chili accarezza. Post scriptum. Ieri, mentre Libero denunciava l’aggressione a Molinari, Repubblica, tramite Paolo Berizzi, se la prendeva col convegno su Ezra Pound organizzato al Teatro del Giglio di Lucca con il patrocinio del Comune. Tra i motivi, la presenza su quel palco dello scrittore Mario Bernardi Guardi, colpevole di molte cose, incluso essere «collaboratore di Libero». Sempre a proposito di libertà di parola e di chi la difende. E di uomini e caporaletti rossi.

 

 

 

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