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Silvio Berlusconi e l'ultima raffica di bugie sulla sua memoria

Fabrizio Cicchitto
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Caro direttore, A parte quello che sta succedendo in Russia, in Ucraina, a Gaza, noi in Italia viviamo di colpo di coda, anzi, vivono di colpi di coda di alcune procure. Prima fra tutte quella di Firenze, che in attesa di sciogliersi per sopraggiunte promozioni, cerca in extremis il botto finale. Aveva già provato qualche mese fa a incriminare per gli attentati e le fallite stragi del 1993 Berlusconi e Dell’Utri. Per dirla in modo crudo e un po’ macabro, Berlusconi li ha beffati morendo qualche giorno prima che gli potessero inviare l’avviso di garanzia che avrebbe avuto qualche clamore e attirato l’attenzione mediatica sulla procura che lo aveva spiccato. Morto Berlusconi, alla procura di Firenze è rimasto Marcello Dell’Utri da massacrare in tutti i modi, anche su quello finanziario. L’obiettivo originario in parte rimane, anche se forzatamente ridimensionato: si spara su Marcello Dell’Utri per colpire comunque attraverso di lui almeno la memoria di Berlusconi. Siccome però i nostri errori si muovono su un terreno assai fragile, alla iattura della morte di Berlusconi si è aggiunto un altro guaio: la procura di Palermo (avete letto bene, la Procura di Palermo non dei dilettanti allo sbaraglio), nello stesso giorno in cui quella di Firenze sparava i suoi missili contro Dell’Utri, ha detto esattamente il contrario dichiarando l’inesistenza di rapporti di Berlusconi con la mafia.


Però questa pronuncia della procura di Palermo, come ha rilevato Daniele Capezzone in un articolo di venerdì, è finita in coda a tutti i resoconti dei cronisti giudiziari dei più significativi giornali che hanno dato tutto lo spazio alla Procura di Firenze, e solo dei titoletti di coda a quella di Palermo, come sé questa non fosse decisiva su un argomento di questo tipo. Ciò detto, però, forse vale la pena entrare nel merito di questa vicenda indipendentemente anche dai suoi aspetti giuridici. La procura di Firenze si sta muovendo sulla base di una intercettazione fatta in carcere molti anni dopo gli avvenimenti al boss Graviano che, sapendo bene di essere intercettato, ha mormorato ad un altro collega: “Berlusconi ci chiede di fare una bella cosa”. Su questa frase la Procura ha costruito il suo teorema: la “bella cosa” sarebbe consistita in una catena di stragi che avrebbero dovuto mettere alle corde il governo Ciampi, favorire la vittoria elettorale di Berlusconi, che in quei mesi stava lanciando Forza Italia, e così più facilmente avrebbe conquistato il potere, vinto le elezioni e, una volta arrivato al governo, avrebbe smantellato il 41 bis. Questo è il teorema ma nella realtà le cose sono andate in modo diverso.

 


Un paio di questi attentati sono avvenuti prima che Berlusconi avesse deciso di scendere in politica e mentre stava consultando Martinazzoli e Segni per spingerli a costruire uno schieramento moderato. Quindi fin dall’inizio quegli attentati sono stati progettati, messi in campo da una mafia insieme avvelenata e disperata perché si stava rendendo conto che grazie alla geniale strategia stragista dei corleonesi guidati da Totò Riina un bel numero di boss mafiosi si ritrovata in carcere all’ergastolo col 41bis. Non solo: tutto ciò era avvenuto in uno Stato che - diversamente dalle loro previsioni - non si era piegato, non si era piegato grazie a Falcone e a Borsellino ma anche grazie ad Andreotti, Scotti, Martelli, alla DC al PSI e ai partiti laici. In quella situazione la mafia lanciava le sue ultime raffiche, ma anche su questo terreno va sviluppata la riflessione. Oltre ai tre attentati riusciti ci sono i due falliti. Uno di essi ha riguardato davanti al Teatro Parioli Maurizio Costanzo, uno dei pupilli mediatici di Berlusconi che sulla rete Mediaset aveva attaccato in modo durissimo la mafia, senza che nessuno lo avesse bloccato. Ma su tutto questo i nostri errori preferiscono sorvolare. L’altro attentato fallito per un soffio fu quello che doveva avvenire allo Stadio Olimpico che avrebbe dovuto colpire un reparto di 200 carabinieri e i tifosi circostanti. Orbene, se questi due attentai avessero avuto successo, Berlusconi non avrebbe avuto nessuno spazio per la sua iniziativa: sarebbero stati dati o poteri di emergenza allo stesso governo Ciampi, oppure sarebbe stata chiamata una personalità al di sopra delle parti con particolari competenze sull’ordine pubblico. Berlusconi non aveva nessun ruolo e nessuna competenza su questi temi così drammatici tant’è che poi lanciò Forza Italia su ben altra tematica, con messaggi televisivi molto accattivanti, positivi e ottimistici, tutt’altra cosa dai toni truculenti di legge e ordine che sarebbero stati coerenti ad una tematica derivante da una situazione con decine di morti per le strade fra cui anche un centinaio di carabinieri.


In ogni caso qualora Berlusconi fosse arrivato al governo anche grazie a mafiosi, che per lui avevano fatto “una bella cosa”, egli sarebbe stato nelle mani dei boss e quindi, bon gré mal gré, una delle prime cose che avrebbe dovuto fare sarebbe stata quella di ridimensionare o eliminare il 41 bis. Invece Berlusconi arrivato al governo fece esattamente il contrario. Il 41 bis da transitorio fu reso permanente e furono presi una serie di altri provvedimenti che spinsero l’allora procuratore di Palermo Grasso a dichiarare nel 2012 che Berlusconi andava lodato per le leggi promosse dal suo governo che avevano consentito di sequestrare alla mafia alcune decine di miliardi. Di conseguenza, da qualunque parte la si esamini, queste iniziative prese, prima che l’attuale compagine della procura di Firenze si sciolga per promozioni, o per cambiamento di sedi, assomiglia molto a quella che in tutt’altro contesto fu chiamata “l’ultima raffica”.

 

 

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