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Giorgia Meloni, patto di collaborazione con gli scienziati

Fausto Carioti
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Due mondi, quello degli scienziati d’eccellenza e quello della destra di governo, che secondo l’iconografia di sinistra avrebbero dovuto essere distanti e incompatibili, si sono incontrati ieri e si sono piaciuti quanto basta per impegnarsi a lavorare insieme su alcune cose importanti. Scelta saggia. C’è una zona, quella in cui le rispettive sfere si sovrappongono, dove la collaborazione non solo è resa obbligatoria dalla situazione, ma può essere molto fruttuosa per loro e la collettività.

Gli scienziati erano quelli della Italian scientist association, che ne raggruppa oltre cinquecento, molti dei quali “top scientists 2%”, ossia presenti nella classifica mondiale dei ricercatori con il livello più elevato di produttività. Il loro presidente Antonio Felice Uricchio, ex rettore dell’università di Bari, li ha chiamati a Roma per confrontarsi in pubblico col governo, rappresentato da Giorgia Meloni e dai ministri Anna Maria Bernini e Orazio Schillaci.

Alla premier hanno consegnato il Manifesto della Scienza: sei pagine in cui mettono in guardia dal «diffuso senso di sfiducia» nei confronti del metodo scientifico che si è sviluppato durante la pandemia, chiedono che sia «adeguatamente valorizzato» il loro ruolo di risolutori dei «grandi problemi che caratterizzano la società post-moderna» e si offrono di metterlo «a disposizione delle istituzioni e dei decisori politici per supportarne le scelte».

LE DUE “ALI” DI WOJTYLA
Nel loro manifesto snocciolano esempi concreti di ciò che il governo dovrebbe fare subito. Un elenco che include, tra le altre cose, gli investimenti sull’alfabetizzazione digitale, il sostegno alla ricerca d’avanguardia sui «metamateriali» (materiali artificiali che hanno proprietà fisiche non trovabili in quelli naturali) e l’impegno affinché «il grande balzo storico dovuto all’intelligenza artificiale (...) si mantenga entro gli argini etici, con i nostri valori irrinunciabili».

Chiedono un confronto stabile con palazzo Chigi, «un dialogo diretto tra scienziati e decisori politici», meglio ancora se istituzionalizzato in un «ufficio scientifico e tecnologico che fornisca supporto alla presidenza del consiglio in alcuni ambiti strategici». Un patto di collaborazione costruito su rispetto dell’autonomia altrui e doveri reciproci, insomma.

Invito che la premier intenzionata a fare del pragmatismo la cifra del proprio mandato non può far cadere nel vuoto. Così sale sul palco degli scienziati e cita Giovanni Paolo II e la sua enciclica Fides et ratio: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (frase in cui è fortissima l’impronta dell’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger). La politica e la scienza, dice il capo del governo, sono come la fede e la ragione, che per consentire all’uomo di volare «devono riuscire a muoversi insieme, in modo coordinato». Non sempre è avvenuto: «Ci sono stati casi in cui la politica ha asservito la scienza, e l’ha resa strumento ideologico dai risultati disumani ed efferati, e ci sono stati casi nei quali la scienza ha idolatrato sé stessa, reclamando un mondo nel quale tutto ciò che era scientificamente possibile doveva essere anche automaticamente lecito». Non parla della maternità surrogata, perché non è la sede per farlo, ma è evidente che pensi anche a quella.

Sull’intelligenza artificiale generativa, capace cioè di creare contenuti (testi, video, software...) nuovi, i timori della presidente del consiglio sono forti almeno quanto quelli degli scienziati. Con essa «cambia tutto lo scenario», avverte, «perché quello che ha impedito fino ad oggi la sostituzione tra essere umano e macchina era l’impossibilità di sostituire l’intelletto»: operazione che ora, invece, è fattibile. E tra le creazioni possibili di Chat Gtp e delle sue sorelle ci sono i video e le immagini deepfake, in cui vero e falso sono sempre più difficilmente distinguibili, «con tutte le conseguenze che questo può avere sui processi decisionali, sui sistemi democratici, sugli equilibri globali». L’impressione della premier è che con questa nuova tecnologia «stiamo barattando la nostra libertà con la comodità».

 

L’ETICA DEGLI ALGORITMI
Lo scopo non è demonizzare l’intelligenza artificiale, ma additarla come uno dei campi in cui occorrono le due ali: «Senza adeguati processi, che la politica può fare solamente se ha tutti gli elementi per conoscere e giudicare i rischi, noi rischiamo di arrivare troppo tardi». Una nazione da sola, però, può fare nulla: di «algoretica», l’etica degli algoritmi, Meloni promette di parlare, oltre che con gli scienziati, nelle riunioni del G7 e negli altri consessi multilaterali. Ed è sempre dall’intesa tra politica, scienza e aziende che dovrà arrivare, «in un futuro non troppo lontano, energia pulita e illimitata dal nucleare da fusione».

Argomento per le prossime generazioni, quest’ultimo. L’opera scientifica simbolo della legislatura attuale, se tutto andrà nel migliore dei modi, sarà ET, l’Einstein Telescope finanziato dall’Unione europea, che dovrà “ascoltare” le onde gravitazionali. Una struttura d’importanza paragonabile a quella del Cern di Ginevra, e perla quale l’Italia è in competizione con l’Olanda.

Il governo di Roma ha candidato l’area della miniera abbandonata di Sos Enattos, in Sardegna, geologicamente perfetta. Portare a casa l’opera, anche in tandem con l’Olanda (ET potrebbe avere due “orecchie” a migliaia di chilometri di distanza, ed è questa la soluzione che sta prendendo quota) garantirebbe all’Italia e ai sui scienziati un gran balzo in avanti: ricerca di frontiera, posti di lavoro altamente qualificati, un investimento economico imponente su una zona che non ne ha mai visto uno. Sarebbe il sigillo ideale all’unione d’interessi tra scienziati e governo, chiamati ora a passare dalle parole ai fatti.

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