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Tecnologia e umanoidi, perché il senso di umanità batterà i robot

Gianluigi Paragone
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Pare che la sfida tecnologicamente più avanzata sia tra Tesla, cioè Elon Musk, e l’azienda cinese Unitree Robotics, tra l’Optimus dell’imprenditore sudafricano e la nuova versione del robot umanoide H1 Evolution V3.0. Quest’ultimo, dicono i cinesi, pare abbia stabilito un nuovo record mondiale di velocità nel settore. I video che circolano in rete, per la gioia dei futuristi, fissano queste “evoluzioni” sottolineandole con parole d’estasi, come passi verso un futuro sbalorditivo. Leggo di performance (il robot cinese corre a una velocità di 3,3 metri al secondo), di strepitosi balli, di saliscendi dalle scale; mi aggiornano sulla carta d’identità: è alto due metri, pesa circa 47 kg e può trasportare un carico utile fino a 30 kg.

E il collega Optimus? Beh, con quel nome così non può certo stare indietro. Infatti ordina gli oggetti, sistema pacchi, ben performa in quanto a velocità. Addirittura leggo - esegue posizioni yoga. Nel senso che sta in equilibrio. Ma lo yoga insegna l’equilibrio, non a stare in equilibrio (per quello puoi fare anche ginnastica). Cercare l’equilibrio è cercarsi. Cercarsi nell’io. In tanti si domandano se un giorno i robot saranno come gli essere umani. La domanda non significa nulla, se non capiamo il senso dell’ “essere umani”. Un robot potrà fare persino meglio alcune cose che sa fare un “essere umano”, ma non sarà in grado di avere un’anima, di pensare, di scandagliare nel nostro inconscio. Ringrazio Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti per il loro “Umano, poco umano”, un libro ben scritto che ci infila in una capsula del tempo per un viaggio tra le lezioni di grandi filosofi e le sfide della frontiera tecnologica. Gli spunti sono molteplici sollecitati dagli esercizi spirituali (nel senso largo, intellettuale) contro l’intelligenza artificiale, dal richiamo continuo ai precetti e agli stimoli di filosofi che non scadono mai, perché le domande più profonde sfidano la tecnica e la domano chiedendo ininterrottamente all’uomo di esplorarsi.

 

 

 

Sulla scia del mio ultimo libro “Moderno sarà lei”, mi sono messo a raccontare anch’io in un monologo chi siamo oggi rispetto agli algoritmi, ai robot, all’intelligenza artificiale: mi sono convinto che non ci sarà mai alcuna gara possibile fintanto che saremo e resteremo compiutamente umani. Una volta un mio amico medico neurologo mi disse che, per quanto la tecnologia ponesse sfide interessanti, nessuna gli sembrava più misteriosa e inesplorata dell’essere umano. Mi inchiodò con una frase: «Devo ancora capire cosa succede quando si vive nella situazione di coma, mio caro...». Guardavo i filmati delle prestazioni degli umanoidi e pensavo alle nostre emozioni (per esempio di stupore nel guardare queste macchine dalle sembianze umane), al nostro inconscio (la paura di perdere il lavoro odi essere dominati dalle macchine) e pensavo agli stimoli degli esercizi suggeriti dal libro di Crippa e di Girgenti, alle sfide di quel Pantheon del Pensiero mai avaro di domande a quell’Io cosciente che Socrate, davanti a uomini ingiusti che lo stavano mandando a morte, chiamava psyche. 

 

 

 

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