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Rolando Rivi, Anpi in imbarazzo: ammazzato dai partigiani rossi

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Alberto Busacca
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Lo conoscono in pochi, Rolando Rivi. Lo conoscono in pochi anche dopo che sabato ne ha parlato pubblicamente il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Lo conoscono in pochi perché, purtroppo, la sua è la classica storia troppo scomoda da raccontare, e allora è meglio, come è stato fatto per decenni, fare finta di nulla nella speranza che se ne parli il meno possibile. O, ancora meglio, che non se ne parli proprio. Riassumiamo brevemente la vicenda. Rolando Rivi, beato della Chiesa cattolica, è stato definito il “martire bambino”. È nato a San Valentino, frazione di Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, il 7 gennaio del 1931. Il 10 aprile 1945, a 14 anni, fu rapito da un gruppo di partigiani comunisti, che lo accusarono di essere una spia dei fascisti e, dopo tre giorni di percosse, umiliazioni e sevizie, lo uccisero a colpi di pistola in un bosco. Nel 1951 la Corte di Assise di Lucca condannò i responsabili dell’uccisione, Giuseppe Corghi, che aveva sparato, e Delciso Rioli, comandante della 27esima Brigata Garibaldi “Dolo”, a 23 anni di reclusione. La condanna venne confermata in Appello e in Cassazione. Dopo una serie di guarigioni riconosciute come miracolose, nel 2006 è stata aperta dall’arcidiocesi di Modena la sua causa di canonizzazione. Nel maggio 2012, la competente commissione vaticana dei teologi approvò la validità del suo martirio in odium fidei. Il 28 marzo 2013 Papa Francesco autorizzò la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio e il 5 ottobre 2013 la cerimonia di beatificazione fu celebrata nel Palazzetto dello Sport di Modena, davanti a migliaia di persone.

DOV’È L’ANPI?
Bene, sabato il ministro Sangiuliano è andato alla commemorazione del beato che s’è tenuta a Castellerano, nella chiesa di san Valentino. «La vicenda di Rolando Rivi», ha detto, «per evidenti implicazioni politiche non ha avuto il rilievo che merita. La sua storia deve essere riproposta, non per alimentare divisioni ma per ottenere il giusto riconoscimento. È significativo ricordare che la Chiesa cattolica l’ha proclamato beato, sottolineandone il martirio, e che lo Stato italiano condannò i responsabili dell’uccisione. Credo che la vicenda umana di Rivi debba diventare memoria collettiva e che ogni anno si debba celebrarne il ricordo e il suo alto esempio morale». Non è tutto. Perché Sangiuliano ha anche detto un’altra cosa: «Vorrei vedere qui i vertici dell’Anpi a chiedere scusa a Rivi per quello che è accaduto. Ovviamente non c’è una responsabilità diretta da parte dei vertici attuali, questo è scontato. Però sarebbe bello se loro si unissero a noi nel ricordare questa figura». Già, sarebbe bello che l’Anpi dicesse qualcosa sulla figura di Rolando Rivi. Visto che da quelle parti si considerano (in molti casi in modo abusivo) gli eredi dei partigiani che hanno combattuto il fascismo, bè, oltre agli onori ci sarebbero anche gli oneri. E allora sarebbe una buona cosa, nell’attesa di partecipare l’anno prossimo alla commemorazione del beato, spendere due parole sulle responsabilità dei combattenti della Brigata Garibaldi. Ora, non è escluso che alla fine l’associazione dei partigiani dica qualcosa (celo auguriamo), ma per il momento le parole del ministro sono cadute nel vuoto.

 

 

PANSA E FOIBE
Non è una sorpresa, in realtà. Perché a sinistra dire che “i partigiani hanno fatto anche cose non buone” resta un tabù. Come se riconoscerlo intaccasse il mito della Resistenza. È quello che succede abitualmente quando si parla di foibe. È quello che è successo in passato con i libri di Giampaolo Pansa sul “sangue dei vinti”. Chi osa evocare le violenze dei partigiani è un revisionista, quando non direttamente un fascista che cerca di equiparare i buoni e i cattivi. E allora, nel dubbio, meglio fare finta di nulla e restare in silenzio. Tanto, alla fine, chi se lo ricorda Rolando Rivi?

 

 

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