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"Meloni neonazista": Luciano Canfora va alla sbarra

Tommaso Montesano
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Giorgia Meloni aveva reagito subito: «La querela non gliela toglie nessuno...». Di fronte a quelle parole «inaccettabili» pronunciate dal professor Luciano Canfora davanti agli studenti del liceo scientifico “Enrico Fermi” di Bari - lei bollata come «neonazista nell’animo» - non si poteva restare a guardare. Soprattutto perché «pronunciate da una persona che si dovrebbe occupare di cultura e formazione e che invece finisce a fare becera propaganda a dei giovani studenti», scrisse l’11 aprile 2022 sui suoi canali social la presidente di Fratelli d’Italia, che qualche mese dopo sarebbe diventata presidente del Consiglio. Il giorno successivo, di fronte al tentativo di difesa di Canfora («il termine “neonazista” è un’altra cosa rispetto a “nazista”»), Meloni rivelò di aver «già dato mandato per agire legalmente contro le ignobili parole nei miei confronti» articolate da Canfora: «Invece di scusarsi...». Insomma, quella spiegazione postuma dello storico - «neonazista è, ad esempio, l’atteggiamento di chi usa le navi da guerra per respingere i migranti»- agli occhi di Meloni fu la classica «toppa peggio del buco». Il “buco”, tuttavia, ieri è costato a Canfora il rinvio a giudizio per diffamazione aggravata nei confronti di Meloni.

Così ha deciso, al termine dell’udienza predibattimentale che si è tenuta alla seconda sezione penale del tribunale di Bari, il giudice Antonietta Guerra accogliendo la richiesta della Procura. Il processo a carico di Canfora inizierà il prossimo 7 ottobre davanti al giudice monocratico Pasquale Santoro. Per il filologo pugliese è un periodo movimentato. Lo scorso 23 marzo, per dire, salì sul palco allestito per Antonio Decaro in piazza del Ferrarese, a Bari, per accusare il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, di seguire nientemeno che le orme di Benito Mussolini, il cui primo atto di governo «fu di sciogliere i consigli comunali socialisti in tutta Italia. L’assalto ai Comuni è una caratteristica del fascismo». E se il capo del Viminale è “fascista” perché vuole sciogliere i consigli comunali sgraditi, Meloni è di conseguenza «neonazista nell’animo» perché «si è subito schierata con i neonazisti ucraini» diventando «una statista molto importante». Lei, disse Canfora agli studenti baresi, «trattata di solito come una mentecatta, pericolosissima». Parole, ha scritto il difensore della presidente del Consiglio, l’avvocato Luca Libra, che hanno, «senza giustificazione alcuna, leso l’onore, il decoro e la personalità della persona offesa, aggredendo la sua immagine, come persona e personaggio politico, con volgarità gratuita e inaudita, utilizzando volgari epiteti». Meloni si è anche costituita parte civile, con acclusa richiesta di risarcimento del danno da 20mila euro. Canfora, presente in tribunale, attraverso il suo legale- l’avvocato Michele Laforgia, il nome sul quale è andata in fumo l’alleanza tra Pd e M5S a Bari ha invece chiesto il «non luogo a procedere» in nome dell’«esercizio del diritto di critica, in particolare del diritto di critica politica».

 

 

Laforgia ha anticipato che «la premier sarà sicuramente chiamata a deporre in aula». Il motivo è semplice, ha spiegato il penalista: «Era implicito anche nella nostra difesa che se avessimo dovuto approfondire il tema del “neonazismo nell’animo” nel merito sarebbe stato necessario sentire la persona offesa del reato». Oltre che «acquisire una massa importante di documenti biografici, bibliografici, autobiografici». Insomma, «è necessaria un’integrazione probatoria approfondita». Lo storico ha detto la sua ospite di Otto e mezzo su La7: «Il mio dovere è prendere atto e mantenere il riserbo». Quanto al “neonazismo nell’animo”, Canfora l’ha derubricato a «una metafora colta. Io non drammatizzerei questa espressione». Il filologo è stato difeso da una cinquantina di associazioni che hanno promosso un appello di solidarietà nei suoi confronti, sottoscritto al momento da poco più di mille cittadini. Tra i firmatari ci sono le sezioni locali di Anpi, Arci, Cgil, Libera e le sigle studentesche. Documento cui ieri si è aggiunto un presidio davanti al tribunale su convocazione del Coordinamento Antifascista e della Casa del popolo. Un altro “manifesto” è stato lanciato dal quotidiano francese Libération, che lo scorso 9 aprile ha definito «un’aberrazione» la denuncia presentata da Meloni. Appello siglato da un’ottantina di intellettuali. 

 

 

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