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Pd, ecco come Elly Schlein si è suicidata

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Daniele Capezzone
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Molti anni fa, in un piccolo ma prezioso saggio sulla stupidità, Carlo Maria Cipolla collocò quattro categorie umane in un diagramma cartesiano: l’intelligente crea un vantaggio per sé e un vantaggio anche per gli altri; il bandito crea un vantaggio per sé ma uno svantaggio per gli altri; il mecenate crea uno svantaggio per sé ma un vantaggio per gli altri; lo stupido, infine, crea uno svantaggio sia per sé che per gli altri. Morale: gli stupidi sono pericolosissimi, e albergano- spiegava sempre Cipolla, ammonendoci in modo profetico in qualunque classe e categoria umana.

Quel saggio non aveva a che fare con la politica, eppure le sue geometriche conclusioni possono essere tranquillamente applicate alla dimensione dei partiti, dei leader, degli schieramenti: esistono cioè delle terrificanti situazioni di stupidità politica che producono danni per tutti, per se stessi tanto quanto per gli altri. Non ce ne vogliano dalle parti del Nazareno, ma questo è esattamente il caso della povera Elly Schlein, sempre più alle prese – dentro e fuori la sede del Pd – con una materia che non è la sua, con un mondo rispetto al quale si conferma una totale marziana, di cui non comprende né le regole né i codici.

MAGIE DEL DESTINO
Parliamoci chiaro: fare il segretario del Pd è un mestieraccio, esposto ai ricatti e alle vendette del solito “caminetto” di vecchi notabili. Ma a Elly, quasi senza merito, per un puro capriccio del caso, era capitata una circostanza favorevole, direi quasi magica. Da un lato, infatti, c’era Giorgia Meloni che le aveva proposto una sfida televisiva, un faccia a faccia: match difficile, certo, perché la leader di Fdi è un osso duro. Ma un duello di quel tipo – se non perso in modo catastrofico – avrebbe avuto di per sé una valenza di consacrazione e di legittimazione anche dell’altra leadership, quella di Elly. La quale avrebbe solo dovuto compiere i passi necessari a polarizzare il confronto: candidarsi a sua volta in tutta Italia e scrivere il proprio nome nel simbolo elettorale del Pd. Insomma, la grammatica e la sintassi della politica suggerivano non solo di accettare il faccia a faccia tv, non solo di candidarsi ovunque alle Europee, ma di mostrare che lei – Schlein – era ed è in grado di esercitare la propria leadership, trainando il partito, facendogli guadagnare qualcosa in termini di risultati, e conquistando ciò che ora oggettivamente non ha, e cioè la guida dell’intera opposizione. E invece è finita come sappiamo: due candidature smozzicate (Centro e Isole), l’umiliante retromarcia sul nome sulla scheda, e i maggiorenti dem che la trattano – per l’ennesima volta – come la scema del villaggio. Per sovrammercato, è arrivato pure l’estremo sfregio di Lucia Annunziata: che prima acchiappa la candidatura al Sud, poi pugnala Schlein sulla questione del nome nel simbolo, e infine lascia che la notizia del suo dissenso trapeli nei retroscena dei giornali, come ulteriore rituale di degradazione ai danni della povera Elly, ormai bullizzata da chiunque.

EFFETTO MANCATO
Morale: poteva innescarsi – pur nel tradizionale caos dello zoo politico italiano – un positivo effetto di semplificazione, una bipolarizzazione “Meloni contro Schlein”. Non solo: anche ai propri fini (che vedremo tra un attimo), la segretaria dem avrebbe potuto scommettere su una campagna elettorale tutta giocata sul protagonismo del Pd. In altri termini, non disponendo oggi né dell’alleanza con i grillini (vedi Piemonte) né di quella con i centristi (vedi Basilicata), cioè né del “campo largo” né del “campo stretto”, Schlein avrebbe dovuto usare la sfida elettorale con Meloni per consolidarsi come leader della sinistra e per poi negoziare con Conte e gli altri – dopo il voto europeo – da una posizione di maggiore forza. E invece no: facendosi umiliare dagli oligarchi del Nazareno, Schlein ha perso la possibilità di impostare una campagna bipolare, e sarà ogni giorno costretta a sgomitare con Giuseppe Conte, il quale – lo capiscono anche i bambini – ha per principale avversaria proprio lei, mica la Meloni, e punterà ogni giorno a dimostrare che l’unica “vera” opposizione è quella grillina. Il pm di turno – intanto – farà il resto infilzando allo spiedo qualche amministratore locale Pd. E il faccia a faccia tv con Meloni? Probabilmente si farà, ma a quel punto alla premier basterà sorridere e sussurrare: «Cara Elly, ma se non ti hanno voluto nemmeno quelli del tuo partito, cosa ci dobbiamo dire qui?». Gioco, partita, incontro.

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