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La nipote di Giacomo Matteotti usata contro il governo

Alberto Busacca
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Il centenario della morte di Giacomo Matteotti è un’occasione troppo ghiotta. Si può non utilizzarlo per attaccare il governo Meloni? Ovviamente no, non si può. E così da sinistra è già partito il consueto lamento a testate unificate: «L’esecutivo dimentica il martire antifascista», «il centrodestra mette il silenziatore alla memoria», «la maggioranza non riesce a dire parole chiare su quello che è successo». Ma perché qualcuno a destra dovrebbe avere interesse a nascondere questo anniversario? Perché qualcuno a destra dovrebbe sentirsi in imbarazzo? Mistero.

Eppure la polemica è già iniziata e da qui al 10 giugno, giorno del centenario, sicuramente non si spegnerà... Ieri, per tenerla viva, Repubblica ha pubblicato una lunga intervista di Concetto Vecchio a Laura Matteotti, nipote del politico socialista. Titolo: «Sono ancora fascisti. Ecco perché il governo non ricorda mio nonno». L’obiettivo, è evidente, è sempre il solito: accusare la Meloni e i suoi di essere fascisti e di non voler parlare dell’omicidio del 1924. E se lo dice la nipote della vittima, naturalmente, la cosa ha ancora più forza e credibilità. Va detto, però, che ridurre tutto alla solita polemicuccia anti-Giorgia è un po’ uno spreco. Perché Laura Matteotti, nell’intervista, racconta un sacco di cose interessanti.

 


Intanto il rapporto con il padre, Matteo Matteotti, figlio di Giacomo, due volte ministro per il Psdi tra il 1970 e il 1974. Un rapporto difficile, «pessimo» lo definisce lei. Perché il genitore era «anaffettivo» e alla figlia, forse per il trauma subito, non ha mai raccontato chi era stato suo nonno. Laura lo ha dovuto scoprire da sola: «Agli esami di terza media mi chiesero di parlare di mio nonno. “Mio nonno chi?” ho risposto. Sono tornata a casa sconvolta, trovai i miei genitori a pranzo, e domandai: “Scusatemi, ma chi era Giacomo Matteotti?”». Loro, però, «non dissero niente. Silenzio completo. Poi mi ritirai nella mia stanza e i miei genitori nella loro, come sempre avveniva».  Insomma, per scoprire qualcosa del suo celebre antenato ha dovuto aspettare il funerale del padre, nel 2000, quando aveva già 38 anni: «C’era tantissima gente, tutti mi baciavano, mi abbracciavano, i vecchi tiravano fuori dal portafoglio i santini di mio nonno. Erano proprio stravolti nel vedermi lì. A un certo punto ho incontrato Stefano Caretti, il curatore delle lettere di Giacomo a Velia, e di Velia a Giacomo. Mi ha portato sulla tomba, e poi mi ha invitato a Firenze, dove era stata allestita una mostra. Piano piano ho cominciato a capire tutta la storia».

 

Poi, su precisa domanda di Vecchio, ha rivelato un altro particolare poco noto della storia della famiglia Matteotti: Giorgio Almirante, all’epoca segretario del Movimento sociale italiano, andava a casa loro a prendere il tè anche un paio di volte alla settimana: «Almirante era sempre elegantissimo. Ricordo che li spiavo dal salone mentre conversavano. Mio padre mai me lo presentò, per cui ho questo ricordo di me che li spio dalla porta. Non saprei dire cosa avessero in comune. Forse gradivano lo stesso tè». Difficile dirlo adesso, ma probabilmente erano anni in cui certe ferite si poteva provare a farle rimarginare. Non ci sono solo i tè di Almirante e Matteotti, ma anche, ad esempio, gli incontri riservati del segretario del Msi con il leader del Pci Enrico Berlinguer. Oppure la visita di Sandro Pertini, presidente della Repubblica, al capezzale di Paolo Di Nella, militante del Fronte della gioventù aggredito da estremisti di sinistra e poi deceduto in ospedale. Erano anni violenti, violentissimi, eppure c’era qualcuno che provava a dialogare, a confrontarsi. Da questo punto di vista la sensazione è che siano stati fatti tanti passi indietro...

 


Intendiamoci, la polemica con l’esecutivo la nipote di Matteotti la fa davvero. In due righe, ma la fa. Domanda: il governo Meloni lo sta ricordando? Risposta: «Assolutamente no». Domanda: perché? Risposta: «Perché sono fascisti». Fine. Ovviamente è un suo diritto criticare, e i familiari di una vittima possono dire ciò che vogliono. Ovviamente a Repubblica interessava solo questo e infatti ci hanno fatto il titolo. Ma torniamo alle domande iniziali: perché qualcuno a destra dovrebbe avere interesse a nascondere questo anniversario? Perché qualcuno a destra dovrebbe sentirsi in imbarazzo? Giorgio Almirante, che con Matteotti prendeva il tè, non avrebbe avuto nessun problemaa ricordare il socialista ucciso dai fascisti. Figuriamoci la Meloni o altri esponenti della maggioranza...

 

 

GLI APPUNTAMENTI Non solo. Va detto che la legge per le “Celebrazioni per il centesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti” è stata approvata l’anno scorso all’unanimità, con uno stanziamento di 700mila euro, mentre la Camera dei deputati, presieduta dal leghista Lorenzo Fontana, ha organizzato per il 30 maggio una seduta speciale con un attore che leggerà l’ultimo discorso di Matteotti (seduta che verrà trasmessa anche su Rai 1 e alla quale parteciperà il presidente Sergio Mattarella). Il governo farà la sua parte, ma non è strano che il deputato Matteotti sia ricordato in primo luogo dalla Camera. Ultima considerazione. Da sinistra polemizzano anche perché sostengono che poche delle iniziative previste si svolgeranno prima del 10 giugno. E qui, visto che a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, sorge un dubbio: non è che qualcuno sperava di sfruttare di più il sacrificio di Matteotti nella campagna elettorale per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno?

 

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