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Popolo contro élite: la semantica del voto

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Eh, si fa presto a dire “Radical chic”. Si fa presto a dire populismo contro élite. È bastato che Giorgia Meloni – in modalità pre-elettorale- dichiarasse «l’8 e il 9 giugno non saranno i soliti radical chic a parlare ma il popolo. E quello del popolo è l’unico giudizio che ci interessi...». È bastato che la presidente dei Conservatori europei chiedesse il voto dalla tribuna autoironica ribattezzata “Telemeloni” (il disinnesco di tutta la vulgata sul controllo nazifascista della tv pubblica). E bastato che la signora di Chigi ribadisse «Chiamatemi Giorgia e basta: mi hanno chiamata pesciarola, borgatara, ma io sono fiera delle mie radici popolari...».

Be’, ecco, è bastato tutto questo, che l’opposizione si scatenasse- un riflesso pavloviano- nella difesa della supremazia delle élite. Di qualunque tipo di élite, purché di sinistra.

Sicché, la brava Annalisa Cuzzocrea nel suo podcast si sentiva subito toccata nel vivo, e citava il Censimento dei radical chic di Giacomo Papi (un libello divertente e radicalchicchissimo), e commentava: «Credete che ogni persona abbia diritto a studiare a migliorarsi qualunque sia la propria condizione di partenza? Siete radical chic perché non rispettate la sana ignoranza del popolo e avete desideri intellettualoidi». (...)

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