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Liguria, l'inchiesta vacilla: anche il Pd ora ha dei dubbi sul caso-Toti

Pietro Senaldi
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La super inchiesta? «Maniman», si comincia a dire a Genova... non si sa mai, vuoi vedere che va a finire a tarallucci e trofie? L’operazione per crocifiggere Giovanni Toti a mezzo di intercettazioni nel frullatore è partita a gonfie vele ma pare avere esaurito il vento in poppa. I più delusi stanno nel Pd ligure. Un po’ perché tra i dem non sono molti gli entusiasti della candidatura in pectore dell’ex Guardasigilli, Andrea Orlando. Nel capoluogo la prospettiva entusiasma quanto un pesce di tre giorni sulla tavola. Un altro po’ perché a sinistra temono di doversi intestare il rallentamento di una città e una Regione che negli ultimi nove anni di guida del centrodestra sono cambiate dalla notte al giorno. Molto perché perfino i vertici del Pd locale cominciano a chiedersi dove stia la “ciccia” e temono che l’invenzione della Procura dell’aggravante per mafia, che ha consentito di intercettare e incriminare Giovanni Toti, non regga nei tre gradi del processo e metta in conto a loro l’ennesima vittima della malagiustizia politicizzata.

Domani in città arriva Elly Schlein. È la prima volta dal giorno della bufera, ma non arriva per questo. Genova è una semplice tappa del suo tour per le Europee. Comizio alle 17.30, ma la tappa più importante è a Rapallo dove, noblesse oblige, la segretaria incontrerà gli industriali. Forse saranno loro a spiegarle che la Liguria viaggia(va), la diga foranea serve e insomma, «maniman» tornasse lui, Toti.

 

 

 

Nessuno ci mette nome e cognome, ma a parte il presidente mancato, Ferruccio Sansa, sconfitto nettamente dal presidente uscente (e prontamente rientrato nel 2020), e che però la sinistra ha scaricato, malgrado da tre settimane giri studi televisivi e corridoi del palazzo ripetendo “ve l’avevo detto”, le eminenze rosse, gli uomini del partito, si chiedono fin dove voglia arrivare la Procura. Per tenere Toti a bloccato ai domiciliari infatti bisogna allargare l’inchiesta, ma fino a chi?

Il ragionamento è il seguente: arrestare un presidente di Regione in carica significa fissare molto in alto l’asticella dell’offensiva al sistema di potere. Mantenerlo privo della libertà in mancanza di nuovi elementi può giustificarsi finché si concludono gli interrogatori, ma poi con un eventuale rinvio a giudizio, la qual cosa significherebbe che l’attività inquisitoria è finita, con quale pretesto si può evitare di liberarlo, e quindi impedire che il supposto reprobo torni a governare? Una Procura non può sostenere che il mantenimento della carica sia incompatibile con un’inchiesta, perché ci sono molti precedenti che smentiscono la tesi e perché l’argomentazione svelerebbe il segreto di Pulcinella, ovverosia che gli arresti hanno l’unico scopo di portare l’indagato eccellente alle dimissioni. Questo lo sanno, e sotti i portici te lo dicono, anche i dirigenti dem, che però difficilmente domani lo faranno presente a Elly, che come un’ossessa chiede che «Toti non resti un minuto di più» e avrà alla sua destra don Gallo, malgrado i dem liguri siano il solo gruppo dirigente che nelle Primarie l’abbia preferita a Stefano Bonaccini. Una fiducia non ancora contraccambiata dalla leader.

 

 

 

CHE C’ENTRA LA MAFIA?

E se perfino i dem locali sono sempre più perplessi dalle mosse dei pm, figurarsi il genovese medio, terrorizzato dalla prospettiva che, se Toti molla, si fermi la giostra che ha proiettato la città nel ventunesimo secolo, con un programma di opere pubbliche di dodici miliardi in Regione e sedici milioni di turisti l’anno, che qui non si erano mai visti. Dubbi che hanno trovato un’amara conferma nel fatto che martedì, in commissione parlamentare anti-mafia, i magistrati dell’accusa non sono riusciti ad argomentare che ci azzecchino il governatore e il suo capo di gabinetto, Matteo Cozzani, che giusto ieri ha formalizzato le proprie dimissioni, con Cosa Nostra. Non è una domanda da poco, perché in mancanza dell’aggravante mafiosa le intercettazioni che scottano potrebbero risultare inutilizzabili nel processo, o comunque cassate in un eventuale terzo grado di giudizio.

Stefano Savi, l’avvocato del governatore, non ha ancora redatto l’istanza di revoca degli arresti domiciliari per il suo assistito, male 17 pagine di memoria che ha elaborato con Toti e presentato nell’interrogatorio di una settimana fa lasciano trasparire piuttosto nitidamente la sua linea difensiva. Il presidente la butta in politica, ed è difficile dargli torto. La corruzione è un reato piuttosto semplice nelle sue modalità di attuazione: ti faccio un favore, ti aiuto, ti preferisco ad altri, in cambio di denaro o di un’altra utilità. Un reato specifico e circoscritto del quale, nella fattispecie, mancherebbero gli elementi essenziali.

Toti sostiene di essere finanziato da Aldo Spinelli dal 2015, un sostegno economico che ha la caratteristica della continuità, non legato a un evento o a un servizio reso. Inoltre afferma che la sua azione politica è sempre stata volta a sostenere gli imprenditori che, a suo giudizio, lavorano per sviluppare il porto di Genova e l’economia della Regione e, per dimostrarlo, fa un lungo e argomentato elenco di persone e società a favore delle quali è intervenuto, malgrado magari finanziassero forze dell’opposizione e non lui.

Rivendica di essere un liberale e di avere una frequentazione abituale, in ragione della sua carica, con Spinelli; e quindi rimanda la palla nel campo della Procura.
Nella loro fondina i pm hanno qualche intercettazione nella quale il governatore pronuncia frasi poco eleganti e ancor meno accorte. Spinelli chiede di tutto e lui chiede soldi per la campagna elettorale. Ma, al di là della dubbia legittimità e utilizzabilità delle intercettazioni in fase processuale per condannare il governatore, visto che difficilmente reggerebbero al vaglio della Corte di Cassazione, il tono degli scambi verbali tra i due indagati è perfettamente giustificabile e inquadrabile nei confini di un lecito rapporto confidenziale tra persone che affrontano nei loro dialoghi diversi temi.

E qui si torna a quello che perfino i rappresentanti del Pd locale hanno capito: Toti non è sotto processo per corruzione ma per il suo modo di gestire la Regione; che però non era molto diverso da quello dei dem, quando governavano loro. L’unica, vera, differenza sta nei risultati. Claudio Burlando e compagnia varia, rigorosamente finanziata a suo tempo da Spinelli, avevano portato la città al declino. Toti l’ha fatta risorgere e proiettata come possibile centro commerciale dell’Europa.

 

 

 

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