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Giovanni Toti, le ragioni per tornare libero: la data decisiva

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Giovanni Toti

Pietro Senaldi
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Se ti dimetti, ti libero. Il giudice per le indagini preliminari, Paola Faggioni, lo ha scritto senza mezzi termini. È la motivazione principale, anzi la sola, per la quale la toga del tribunale di Genova, figlia di una ex consigliera comunale della Margherita e del Pd, ha revocato gli arresti domiciliari a Matteo Cozzani, ex capo di gabinetto del governatore della Liguria, Giovanni Toti. «Le intervenute dimissioni e il comportamento serbato dall’indagato» si legge nel provvedimento, «sono elementi favorevoli che fanno ritenere che le esigenze cautelari, sia pure ancora presenti, siano ridimensionate». Così la gip si è discostata, per la prima volta in questa inchiesta, dalle indicazioni della Procura, che pure voleva Cozzani ancora ai domiciliari, dove al momento resta ormai solo in forza di un provvedimento del tribunale di La Spezia, contro cui il suo avvocato presto ricorrerà.


Non si può non leggere questa decisione come legata al destino di Toti, che di Cozzani era il capo. A differenza del suo responsabile di gabinetto, il presidente non solo non si è dimesso e non intende farlo, ma ha deciso di tenere un alto profilo pubblico. Il governatore non si è arreso agli avvisi di garanzia e alle misure restrittive della propria libertà, quindi Procura e gip l’hanno lasciato agli arresti, sull’elenco dei cattivi a cui non vanno fatti sconti. Il suo legale, Stefano Savi, ha presentato ricorso per la scarcerazione al Tribunale del Riesame. Si deciderà tra una decina di giorni; siamo sempre nel Palazzo di Giustizia di Genova, e questo non fa ben sperare, però l’atto di impugnazione degli arresti è ben argomentato e i presupposti giuridici della negazione della libertà diventano ogni giorno più deboli, perché gli inquirenti nulla riescono ad aggiungere all’impianto accusatorio. In più, gli incontri che Toti ha potuto avere ne hanno rafforzato la posizione politica. Il centrodestra si è compattato intorno a lui.

Le perplessità che all’inizio dell’inchiesta avevano alcuni esponenti di Fratelli d’Italia sull’opportunità che il governatore resistesse sembrano svanite. Finché non ci saranno elementi decisivi, la maggioranza, in Liguria come a Roma, resterà con lui, anche se il Tribunale del Riesame dovesse respingere la richiesta di libertà del suo avvocato. Tenere il governatore agli arresti però, a questo punto, richiede una grande forzatura dei presupposti di legge. La domanda di libertà è formulata chiaramente. Per quanto riguarda il rischio di reiterazione del reato infatti, Toti a parte, tutti i protagonisti dell’indagine non rivestono più il loro ruolo. L’ex presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Emilio Signorini, è scaduto mesi fa ed è stato anche licenziato da Iren, la società di servizi di cui era diventato amministratore. Dell’ex capo di gabinetto, Cozzani, si è detto; in più, è stato allontanato dalla Regione anche tutto il personale del suo ufficio. La famiglia Spinelli è interdetta da ogni esercizio di impresa, come pure il consigliere d’amministrazione di Esselunga, Francesco Moncada, peraltro dimissionario. Solo Toti resta al suo posto, in virtù del fatto che ricopre una carica elettiva e che le sue dimissioni significherebbero l’attribuzione di fatto alla procura del potere di decidere chi può governare una regione e chi no in base ad avvisi di garanzia e misure di interdizione, senza che intervenga una condanna e, nel caso di specie, senza neppure che ancora sia stato aperto un processo.
Se dalle persone si passa agli enti, il quadro non cambia. L’Autorità Portuale è stata commissariata ed entrambe le personalità scelte non sono in rapporti con Toti. Quanto ad Esselunga, dopo l’approvazione da parte della giunta regionale dell’ultima apertura, il mese scorso, con il governatore già agli arresti, non ha più iniziative e progetti al vaglio dell’amministrazione.
Il rischio di corruzione elettorale infine, senza voti all’orizzonte e con il prossimo appuntamento, le Regionali dell’autunno 2025, al quale Toti non potrà presentarsi, è lontano non solo nel tempo ma anche dalla realtà pratica.


Il ricorso di Savi smonta anche l’ipotesi di pericolo di inquinamento delle prove, giacché tutti i testimoni e gli indagati sono già stati ascoltati dagli inquirenti, così come tutte le prove documentali sono agli atti dell’inchiesta. La lunga durata delle indagini, oltre tre anni e mezzo, per di più all’insaputa degli indiziati, con il massimo dispiego di forze ed energie consente poi alla difesa di sostenere che difficilmente potrà emergere altro, anche se Toti restasse agli arresti. Anche perché l’indagato, in sede di interrogatorio, non ha contestato la ricostruzione dei fatti, e quindi è assurdo pensare che, una volta libero, agirà per alterarla. La difesa del governatore è tutta politica: ho agito per il bene della Liguria e i finanziamenti erano legittimi, registrati e slegati dal mio operare, tant’è che ho aiutato anche chi non mi sponsorizzava e ho fatto solo cose che ritenevo utili alla comunità. Sta alla Procura dimostrare l’intento corruttivo dell’azione presidenziale, e tenere l’indagato agli arresti ha sempre più il sapore di un atto politico, una pre-condanna, piuttosto che di un passaggio irrinunciabile dell’inchiesta.
Tutta l’ipotesi corruttiva si basa su quel «sul resto ci aggiustiamo dopo» riferito dal governatore a Spinelli, ma questo perla difesa denota l’intento di regolarizzare eventuali versamenti, come sempre fatto, e non di occultarli, come la Procura ha fatto balenare. A questo punto, per tenere il governatore ancora agli arresti, almeno qualcosa di irregolare, una banconota di cinque euro scivolata per sbaglio in tasca, i pm dovrebbero tirarlo fuori. Altrimenti restiamo nel campo delle accuse presuntive e degli arresti firmati per indurre alle dimissioni e non alla chiarezza probatoria.

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