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Ilaria Salis, la politica con il vizio di occupare

Giovanni Sallusti
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La seconda volta, bisogna riconoscerlo, gli è venuta meglio della prima. La prima volta sbagliarono cavallo: è vero che sulla carta Aboubakar Soumahoro sembrava perfetto per incarnare l’ossessione “diversitaria” (come la chiama il grande sociologo canadese Mathieu Bock-Côté) della sinistra 5.0.

Migrante in teoria paladino dei migranti, il deputato in stivali da bracciante contro le storture del capitalismo. Ma l’uomo, e soprattutto i suoi famigliari, non sapevano stare nel format, rivendicavano contemporaneamente la lotta alla miseria e il diritto all’eleganza, e la prima regola di ogni buona campagna pubblicitaria è la riconoscibilità del messaggio. Con Ilaria Salis, allora, sono tornati al messaggio riconoscibile per eccellenza, proprio perché totalmente privo di contenuto, pura forma dello spirito progressista: l’antifascismo in assenza di fascismo, l’antifascismo “eterno” (avrebbe detto Umberto Eco), quindi anche casuale, spot per anime belle alla bisogna.

 

 

 

L’IRRESISTIBILE COPPIA

No, non pensiate che qui si stia parlando di Nicola Fratoianni e di Angelo Bonelli. I Totò e Peppino rossoverdi sono stati gli esecutori, oltre che i beneficiari sotto forma del 6,8% alle Europee, dell’operazione di marketing. I suoi ideatori sono ben altri, ma non con retropensiero complottistico, non c’è nessuna dietrologia da ricostruire, al contrario tutto è avvenuto in scena, alla luce dell’agorà pubblica, sulle prime pagine dei giornali, nelle scalette dei talk show, in cima alle tendenze social. Non c’è qualcuno che ha dato l’ordine, semplicemente tutti i professionisti consci con Marshall McLuhan che la pubblicità è “testimonianza, oltre che fattore, della situazione di sonnambulismo di una metropoli stanca” l’hanno riconosciuta come la testimonial perfetta della stanchissima Ztl gauchista (tanto che il partitino eco-comunista si è piazzato terzo nella borghesissima Milano).

 

 

 

In principio fu il cosiddetto guinzaglio: la sgradevolissima catena tenuta da una poliziotta con cui fu condotta nell’aula di un tribunale ungherese. Click, è l’istantanea di un martirio ideologico, inverato da un accenno stoico di sorriso e dalla moderata fotogenia di questa quarantenne brianzola. Il motivo per cui era lì (l’accusa di gravi lesioni personali inferte a un militante di estrema destra insieme a una compagnia di gentiluomini nota come “Banda del Martello”) e le quattro condanne già passate in giudicato in Italia sfumano di fronte allo scatto, anzi sono tutto serbatoio narrativo per la mitologia, per lo storytelling, dicono oggi i comunicatori impegnati a sostituire la politica con il proprio lavoro. Resistenza a pubblico ufficiale durante lo sgombero di attivisti anarchici da un centro sociale milanese e invasione di edifici: tutto très chic. Peraltro, è stato tutto lavoro risparmiato per i creativi del Media Unico: già lì, già nel casellario giudiziale, era rintracciabile il claim dominante della campagna. Sostanzialmente: Ilaria, eroina contro la proprietà privata.

 

 

 

Questo residuato reazionario e padronale, questo retaggio borghese cordialmente detestato nei privatissimi ricevimenti dell’alta borghesia radical. Non esiste posizionamento più favorevole, in un Paese che ha relegato il diritto di proprietà all’articolo 42 della propria Carta, tra le materie economiche, non trai diritti fondamentali dell’individuo elencati nella prima parte, e lo ha ricondotto alla sua funzione “sociale”.

C’è un alfabeto trasversale, diciamo brutalmente catto-comunista (del resto, quelle erano le due culture principali che scrissero la “Costituzione più bella del mondo”) storicamente allergico al culto anglosassone e protestante della proprietà privata, et voilà l’operazione-Salis. Tanto che quando Libero scopre che l’Aler di Milano lamenta 90mila euro di arretrati per l’occupazione abusiva di una casa popolare da parte della neo-onorevole europea, lei è perfettamente in parte, sa che può rivendicarlo espressamente: «Sì, lo confesso! Sono stata una militante del movimento di lotta per la casa».

Alla supercazzola pseudo-guevarista seguiva elenco di reati, convertiti in altrettanti momenti di coscienza civile: «Le pratiche collettive dell’occupazione di case sfitte, il blocco degli sfratti, la resistenza agli sgomberi...». E' fatta, nelle nazioni dove il liberalismo non è solo il feticcio per ritrovarsi nei centri sociali amati da Ilaria sarebbe incitazione a delinquere, dalle nostre parti diventa l’incoronazione definitiva a reginetta dell’antifascismo immaginario.

 

IL MORBO

Ilaria lo sa, è ormai il format di se stessa, tanto che arriva a teorizzarlo senza ritrosie: «Vivere in una casa occupata» è «un baluardo di resistenza contro la barbarie della nostra società». Stracciare la proprietà privata è antifascista, i ladri di case sullo stesso piano di Matteotti: il cerchio del marketing politico è chiuso. E' il “salismo”, malattia senile e fuori tempo massimo del comunismo, per parafrasare Lenin, presentata con le rassicuranti sembianze della Giovanna d’Arco dei senza casa (fuori legge, quelli in graduatoria non sono à la page). E' l’ultima figura mitopoietica della sinistra, che certo ribalta la prima, quella caratterizzata dal lavoro: l’operaio. Ma qui siamo già nella critica di contenuto, abbiamo già perso. L’operazione pubblicitaria è perfettamente riuscita.

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