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Grillo fa causa a Conte per nome e simbolo del M5S

Conte e Grillo

Pietro Senaldi
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Siamo allo scontro totale. Presto la parola passerà agli avvocati, ai quali Beppe Grillo si rivolgerà per sfilare il simbolo di M5S a Giuseppe Conte e riprendersi la titolarità del nome della sua creatura. È stato questo il senso della missione romana di due giorni del comico fondatore, che all’Hotel Forum, il suo rifugio nella Capitale, dove è sceso unicamente per parlare con Elio Lannutti. Con il suo ex parlamentare, fatto fuori da Giuseppi, esperto in contenziosi legali e noto anche per le posizioni antisemite e per aver definito Sergio Mattarella «il padrino dell’anno», Grillo ha studiato le possibilità di fare causa al Movimento che ha fondato, contro i cui dirigenti ieri si è scagliato con una forza che ancora non aveva mai raggiunto.
«Ormai è chiaro come il sole: a ottobre sarete davanti a un bivio, costretti a scegliere tra due visioni opposte di cosa debba essere il Movimento. La prima è quella di una politica che nasce dal basso, di non professionisti; la seconda è quella di Giuseppe Conte. La sua non è un’opera di rinnovamento e io userò tutti i poteri da garante che lo Statuto mi riconosce per salvaguardare il nostro DNA: difesa del simbolo, del nome e della regola del secondo mandato». Beppe Grillo ha sintetizzato il senso della sua due giorni romana con questo messaggio sul suo blog, delegittimando l’assemblea costituente che il partito ha in programma per fine ottobre («un’opera di abbattimento per costruire qualcosa di completamente nuovo che nulla ha a che veder con M5S»).

UN EX MOLESTO
Il guaio per l’Elevato, che paventa la possibilità di una scissione del Movimento, è che i commenti della sua comunità sono quasi tutti negativi, una lunga serie di «vaffa» all’ideatore dello slogan. Su oltre due milioni di seguaci su Facebook, gli apprezzamenti (tecnicamente, i like) non sono arrivati a duecento.
Per il resto, tanti insulti. Come quelli già riservati giorni fa alla vicepresidente del Senato, Mariolina Castellone, insultata malamente dalla base, benché contiana, per essersi permessa di scrivere sui suoi social «non facciamo un grililcidio». Grillo è troppo solo per coltivare sogni di scissione. Ormai molti suoi vecchi elettori lo considerano un ex molesto. I suoi antichi pupilli, Alessandro Di Battista in testa, non si fidano più di lui. L’ex tribuno del M5S è l’unico che può guidare una scissione e raccogliere consensi intorno a sé ma non lo farà. Anche se ha fondato l’associazione «Schierarsi» sta alla finestra. Preferisce i salotti tv e il contratto con il Fatto Quotidiano, giornale legato a Conte. Perfino quelli di Uniti per la Costituzione, gli ex grillini che a Genova hanno presentato per le Regionali una lista dichiaratamente contro l’alleanza Pd-M5S, candidando l’ex deputato Nicola Morra. «Quello di Grillo è un ravvedimento tardivo» taglia Mattia Crucioli, anche lui ex parlamentare e ispiratore dell’avventura politica. «Io glielo dissi cinque anni fa ma non mi volle ricevere. Se oggi ci appoggia a Genova, gliene siamo grati, ma nulla più. Aspettiamo invece un segnale da Di Battista, con il quale saremmo pronti ad allearci»

I GUAI DEL MOVIMENTO
È vero che ci sono più politici grillini fuori dal Parlamento che dentro, e sarebbe una nutrita truppa per Grillo, ma sono tutti degli spiantati senza seguito, per di più con due mandati alle spalle; il che significherebbe per il fondatore contraddirsi, anche se non sarebbe la prima volta. 

Non che Conte se la passi meglio. Il partito è in calo e non riesce a fare liste presentabili per le imminenti elezioni in Emilia-Romagna, Liguria, Umbria. C’è chi teme che a Genova gli scissionisti di Crucioli prendano più voti del M5S, o comunque lo avvicinino molto. Beninteso, il Movimento è nelle mani dell’ex premier, che ha fatto da solo 260 nomine e il 90% dei deputati è con lui, anche perché li ha scelti quasi tutti, ignorando i risultati delle parlamentarie; come a Roma dove, per far eleggere il suo notaio, Alfonso Colucci, paracadutato dalla Puglia, ha escluso i primi due classificati. Tuttavia, se i consensi calano ancora, non basterà abolire la regola del doppio mandato per garantire la conferma a tutti.

SIMBOLO E SOLDI
E allora ecco che la sola via che resta a Grillo è quella legale. Conte ormai è più forte, il comico ha perso tempo e credibilità e può ribaltare il tavolo solo rivendicando il simbolo: è suo o del Movimento e il Movimento di chi è? I veti del fondatore sul cambio di nome e simbolo non sono solo, come si pensava all’inizio, una mossa per evitare che l’avvocato Giuseppi ribattezzi il partito aggiungendo il proprio nome in dizione e immagine. Grillo rivuole tutto per sfilare all’avvocato del popolo, che non gli è mai piaciuto, il Movimento. Si annuncia una battaglia legale lunga dall’esito imprevedibile e metagiuridico, come sempre quando politica e giustizia si mischiano, e l’ex premier ha già mandato avanti i suoi. «Nome e simbolo appartengono all’associazione presieduta da Conte e Grillo è inadempiente, non ha senso rinnovargli il contratto» sentenzia l’onorevole Michele Gubitosa, che però non è un avvocato.
Resta poi da chiedersi se il fondatore faccia tutto questo per ragioni di principio o per soldi. Il M5S versa 300mila euro l’anno al blog di Grillo per le sue consulenze e vigilanze e Conte non vuole rinnovargli il contratto, progetta di unire l’utile al dilettevole di liberarsi e di una mina vagante. Il denaro serve a lui, per finanziare i suoi tuor politici e pagare l’affitto di dodicimila euro al mese della super sede romana di Campo Marzio.

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