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Regionali Liguria, per qualche voto la sinistra sfrutta il tumore di Bucci

Pietro Senaldi
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La debolezza dell’odio, un oppiaceo della ragione, che riporta l’uomo allo stato primordiale e lo lascia vittima della propria violenza autodistruttiva. Quelli che vorrebbero appendere Giovanni Toti per i piedi e veder naufragare il suo sogno di Liguria, condiviso con il sindaco di Genova, Marco Bucci, e con tutto il centrodestra, ci sono rimasti male quando la coalizione ha annunciato la candidatura di quest’ultimo alla presidenza. È umano. La sinistra contava di riprendersi la Regione, decapitata da un’inchiesta giudiziaria, e ha assistito golosa allo smarrimento e allo scoramento dei rivali e dell’indagato, che prima hanno provato a resistere, poi hanno indugiato nello scegliere il candidato. Andrea Orlando e compagni avevano fatto la bocca alla vittoria facile ma sono rimasti delusi.
Erano tanti i nomi da buttare nell’agone, ma si è atteso e discusso alla ricerca del migliore e del più inclusivo, uno che non corresse perché si vota ma perché si deve vincere.

La scelta di Bucci è stata un ritorno al punto di partenza, perché fin dal 7 maggio degli arresti a Toti tutti erano convinti che il sindaco fosse l’opzione migliore. Unico ostacolo vero, i suoi problemi di salute: cancro metastatico alle ghiandole linfatiche del collo, diagnosticato il 30 maggio e operato il 3 giugno, ha fatto sapere l’interessato, con grande dignità e massima trasparenza. Applausi. C’è da levarsi il cappello davanti a un uomo che si è dedicato alla politica solo per senso civico e amore della sua terra, senza aver alcun bisogno di arricchirsi e senza fame di potere, per restituire alla comunità un po’ del tanto che la vita gli ha dato, confessò a Libero prima di sapere di essere ammalato. «Se vivrò tre anni, governerò tre anni, se me ne restano cinque, finirò il mandato, tutto il tempo in più, lo passerò in barca a vela» ha dichiarato nella sua prima intervista di candidato.

 

 

 

LEZIONE DI CORAGGIO

È una lezione di coraggio, una dimostrazione di volitività, un esempio di attaccamento alla propria missione, un motivo per tirare avanti e far finta di nulla. Questa è la decisione di un uomo che ha il cancro ma si pone obiettivi che vanno oltre e intraprende nuove sfide. «È un segno di speranza, comunque la si guardi» ha commentato il protagonista di questa storia. Per usare, un’espressione abusata, si potrebbe dire che Bucci ha infranto un altro tetto di cristallo. Vuole dimostrare, con il suo esempio, che con il cancro si può non solo convivere, ma anche compiere imprese importanti. È un messaggero di speranza per molti che condividono le sue tribolazioni mediche, un uomo del suo tempo, che non vuole differenze tra chi sta bene e chi no, tra chi è perfetto e chi ha problemi.

Ebbene, tutto questo è stato stravolto, mistificato, svilito. «Fa impressione la scelta del sindaco di Genova di candidarsi alla presidenza della Regione. La sua grave malattia diviene pranzo di gala di una politica senza scrupoli. Se non basta più nemmeno la morte possibile e prossima a fermare l’ambizione, la ragione. Ad avere pietà». Così la firma del Fatto Quotidiano, Antonello Caporale, ha commentato l’eroismo di Bucci. Quanto odio, quanta ignoranza da chi, probabilmente, non ha mai neppure parlato al telefono con il sindaco di Genova eppure di fatto gli dà del morto vivente.

 

 

 

L’UOMO DELLA PROVVIDENZA

Bisognerebbe chiamarlo e sentire la sua voce, baritonale e pimpante. Stringergli la mano. Vederlo com’è oggi, rimesso in piedi dalla radioterapia. Sentirlo parlare dei suoi progetti per la Liguria. Toccare con mano la sua voglia di mettersi in gioco e rendersi conto dell’energia che la nuova sfida gli trasmette. Rendersi conto di quanto tiene duro, di quanto poco pare diverso rispetto a un anno fa, quando non si sapeva del male. Bucci si sente l’uomo della provvidenza, quello in grado di continuare il progetto di cambiare faccia alla Liguria, iniziato da lui sette anni fa e da Toti nove. Vive della stima e dell’affetto dei suoi cittadini, che credono in lui.
Candidarlo non è accanimento terapeutico.

L’uomo merita rispetto, va conosciuto prima di giudicarlo. Non si presterebbe mai a diventare agnello sacrificale di una politica della quale non ha mai avuto bisogno in vita sua, tantomeno sarebbe disponibile a impegnarsi per cavar d’impaccio qualcun altro. Immagino che Caporale non se ne capaciti, ma la telefonata di Giorgia Meloni ha caricato a mille il sindaco e gli ha dato un motivo in più per lottare. Gli altri motivi, glieli danno i suoi sfidanti, ai quali il sindaco non intende lasciare tutto quello che di buono ha fatto finora per Genova e per la Liguria; perché non saprebbero cosa farsene, bloccherebbero tutto, farebbero regredire la Regione. Il sì di Bucci è stato per fermare il cancro con cui combatte e i signori del No, come li chiama lui, ai quali non vuole lasciare le chiavi del Palazzo.

 

 

 

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