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Cittadinanza rapida, la sinistra si schianta contro il sondaggio di Alessandra Ghisleri

Pietro Senaldi
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Lo scontro tra sinistra e realtà si arricchisce di un nuovo capitolo. Una settimana fa il fronte progressista - l’espressione “campo largo” pare ormai sepolta - esultava per il raggiungimento delle 500mila firme necessarie a indire un referendum sulla proposta di +Europa, sposata da un asse che va da Landini alla Boschi, per dimezzare i tempi di concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. Da dieci a cinque annidi residenza continuativa in Italia, con in subordine la variante di legare la domanda al compimento di un ciclo di studi (ius scholae). Ieri, un sondaggio di Alessandra Ghisleri, pubblicato su La Stampa, avvertiva i festanti che c’è poco da stare allegri. Malgrando lo sforzo dissimulatorio del titolista (“Ius scholae: quattro italiani su dieci favorevoli alla cittadinanza dopo 5-8 anni”) la rilevazione dice che solo uno su tre (35,6%) è favorevole mentre il 52,4 si dice fermamente contrario, con il Nord più riluttante del Meridione.

Peraltro, tra chi si oppone non ci sono solo gli elettori dei partiti di governo ma anche quelli di Cinque Stelle, a riprova che il tema immigrazione è divisivo per la sinistra molto più che per il centrodestra. Quanto agli elettori di Forza Italia, il partito della maggioranza che quest’estate più ha paventato l’idea di uno ius scholae abbreviato, solo poco più di uno su quattro (27,7%) la pensa come la dirigenza azzurra.

 

AMBIGUITÀ A SINISTRA
Il sondaggio segue una serie di docce fredde e perplessità piovute negli ultimi giorni sugli ideatori del referendum anche da analisti progressisti e moderati. Quella principe riguarda l’ammissibilità del testo da parte della Corte Costituzionale. «Il rischio di inammissibilità» ha avvertito infatti il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, «è dato dal fatto che il nostro sistema accetta solo referendum abrogativi, mentre in questo caso il problema che si pone è se il quesito, eliminando alcune parti e parole dell’attuale legge, di fatto non ne introduca una nuova. In tal caso ci troveremmo di fronte ad un referendum propositivo e pertanto non ammissibile».

Ma oltre quelle giuridiche, ci sono le perplessità di ordine sociale e politico. Sul Corriere della Sera, Antonio Polito ha fatto subito notare che raccogliere le firme su internet è più facile che farlo in strada («dove costa fatica e sudore») con tanto di certificazione da parte del notaio. «Se si può così facilmente mobilitare l’opinione pubblica, guidando almeno per qualche giorno il dibattito politico, si attribuisce a piccole minoranza attive un potere troppo grande» ammoniva il giornalista. Il sondaggio della Ghisleri pare confermarne il ragionamento.

L’istituto del referendum poi è in disarmo per eccesso d’uso. Se la Corte Costituzionale lo dichiarerà ammissibile, quello sulla cittadinanza dovrebbe ternersi nella prossima primavera. Per essere valido però, dovrebbe oltre a ottenere una maggioranza di “Sì”, mobilitare 25 milioni e mezzo di elettori, 4,7 milioni dei quali residenti all’estero, più di quanti si sono recati nel giugno scorso alle urne per le Europee, dove l’astensione ha toccato il 51,7%. Considerato che gli elettori contrari alla cittadinanza abbreviata diserteranno il seggio, il raggiungimento del quorum pare missione ardua.

E allora, perché questa corsa alle firme? «L’immigrazione è un feticcio ideologico per la sinistra, una bandiera da sventolare che non si traduce in atti concreti» commenta il sottosegretario dell’Interno, Nicola Molteni. «Peraltro il tema è divisivo per l’opposizione». In effetti, in Parlamento giacciono cinque o sei proposte di legge della sinistra per modificare l’iter della cittadinanza.

A memoria: ius scholae a un ciclo e a due cicli, ius culturae, ius culturae temperato, ius soli e ora questa idea di +Europa. La sinistra peraltro, per due volte, nel 2025 con Matteo Renzi e nel 2017 con Paolo Gentiloni, tentò di modificare la norma, ma entrambe le volte vi rinunciò, per paura di non avere i numeri e non osando porre sul tema la questione di fiducia. Senza considerare che da 22 anni i progressisti parlano di abolizione della legge Bossi-Fini ma nessuno dei loro cinque governi successivi alla norma (più due tecnici) l’ha mai toccata.

 

VITTORIA DEL GOVERNO
La realtà, battaglie di piazza a parte, è che sull’immigrazione la maggioranza degli italiani sta con il governo, e non per ragioni ideologiche, ma in virtu dei risultati che questo ha ottenuto. Gli sbarchi dall’Africa si sono ridotti dell’85% grazie agli accordi con i Paesi di partenza, Tunisia e Libia, e ai tre decreti in materia che hanno scoraggiato gli arrivi. Il primo ha dato un giro di vita alle concessioni facili di asilo politico. Il secondo ha reso più rapide le espulsioni. Il terzo ha imposto una stretta sul cosiddetto business dell’accoglienza, con rigidi controlli sulle organizzazioni non governative e le associazioni di presunto volontariato che lo gestiscono.

Ciononostate, l’Italia è la nazione che in Europa accoglie più di tutti: un milione e mezzo di stranieri regolarizzati in dieci anni. La cittadinanza facile poi dà in più solo il diritto di voto, che comunque prima dei diciott’anni non si può esercitare, mentre quelli all’istruzione, alla sanità e al welfare sono garantiti dalla semplice residenza. Tutta la retorica quindi sui bambini degli immigrati diversi da quelli degl italiani è pura demagogia..

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