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Giuliano Amato, tutta la verità 32 anni dopo: perfino Scalfaro pentito di averlo nominato

Francesco Damato
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Del lungo e intrigante racconto di Andrea Monorchio al Corriere della Sera dei tredici anni vissuti da Ragioniere Generale dello Stato, tra prima e seconda Repubblica, fra il penultimo governo di Giulio Andreotti e il secondo di Silvio Berlusconi, la parte più divertente è sicuramente quella finale. Nella quale la buonanima del mio amico Francesco Cossiga supera per arguzia, ironia, sarcasmo tutto ciò che già sapevo di lui con quelle domeniche che sottraeva a Monorchio, e alla sua famiglia, per sapere di più dei nostri conti. E per concludere gli incontri stendendo all’ospite un biglietto di mille lire autografato come contributo personale al recupero del debito pubblico.

La parte meno divertente, anzi più inquietante è tutto il resto, particolarmente quella che svela come il prelievo del 6 per mille sui depositi bancari fosse stato predisposto nel l’estate del 1992 dal primo governo di Giuliano Amato all’insaputa di tutti i ministri, del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che tuttavia firmò il decreto legge, e dell’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi. Che protestò con una lunga telefonata al presidente del Consiglio, di cui nel 1993 avrebbe peraltro preso il posto su scelta personale di Scalfaro.

E il suo fu l’ultimo governo, direi anfibio, della cosiddetta prima Repubblica, incaricato non tanto di rimettere a posto i conti quanto di preparare la nuova legge elettorale con la quale mandare gli italiani al più presto alle urne dopo il referendum contro il vecchio metodo proporzionale. A Ciampi che alla chiamata obiettò di non sapere nulla di leggi elettorali Scalfaro rispose sbrigativamente - da quel che lo stesso Ciampi avrebbe poi raccontato in una intervista clamorosa quasi quanto quella di Monorchio dell’altro ieri al Corriere della Sera - di non farsene un problema perché avrebbe potuto contare sull’aiuto degli uffici del Quirinale. Questo per dirvi, cari amici, a che cosa noi più anziani, o meno giovani, siamo riusciti a sopravvivere in questo sorprendente Paese. O Nazione, come preferisce dire orgogliosamente la premier Giorgia Meloni.

 

 

 

MILLE LIRE PER IL DEBITO

Cossiga dava mille lire la settimana a Monorchio per il debito pubblico e Amato avrebbe poi deciso, a quattr’occhi col ministro delle Finanze Giovanni Goria di prelevare in una notte, di soppiatto, e tutti in una volta, dai depositi bancari più di diecimila, se non undicimila miliardi di lire per tamponare un buco che impediva di pagare stipendi agli statali e pensioni. E Scalfaro zitto pure lui, pur avendo qualche settimana prima avuto lo scrupolo di sbrogliare la matassa di una crisi di governo convocando al Quirinale, per la prima e speriamo anche unica volta nella storia della Repubblica, il capo di una Procura. Ne ricavò la convinzione di non poter dare l’incarico di presidente del Consiglio a Bettino Craxi, che la Dc si apprestava a proporgli. Nacque così proprio il governo, il primo governo Amato, proposto dallo stesso Craxi con le spalle al muro, sei mesi prima che la Procura di Milano coinvolgesse formalmente il leader socialista nelle indagini note come “Mani pulite”. Monorchio non lo ha raccontato al Corriere, ma vi racconto io un altro inedito della buonanima di Scalfaro, rivelatosi al Quirinale tanto diverso da quello da me conosciuto e frequentato prima.

 

 

 

PRONTA LA SOSTITUZIONE

Mandato Amato a Palazzo Chigi, e forse anche perché sorpreso pure lui da quel decreto che dovette firmare per poter pagare stipendi e pensioni in pericolo, Scalfaro se ne pentì a tal punto che cominciò ben prima delle dimissioni arrivate nell’aprile del 1993, dopo il referendum sul sistema elettorale, a pensare come sostituirlo. E si rivolse per competenza e affinità politica all’allora ministro del Tesoro Piero Barucci. Che non ho visto citato da Monorchio nei preparativi del decreto sul prelievo dai depositi bancari. E che poi mi raccontò personalmente di avere declinato l’offerta di Scalfaro, per cui al Quirinale fu chiamato al momento opportuno, per la successione ad Amato, l’allora e già ricordato governatore della Banca d’Italia Ciampi. Con tutto il resto che seguì. Amato sarebbe tornato a Palazzo Chigi nel 2000, spintovi dal dimissionario presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Ma Scalfaro non era più al Quirinale, sostituito l’anno prima, per scadenza di mandato, proprio da Ciampi, come ho già ricordato. Può sembrare un gioco dell’oca, ma non lo era. O almeno non doveva esserlo.

 

 

 

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