Sembra ieri, e invece è passato tanto tempo: oggi, 6 maggio, sono trascorsi ventitré anni dall’assassinio nel 2002 (guarda un po’: da parte di un estremista ambientalista) di Pim Fortuyn, che tra l’altro è sepolto in Italia, nel cimitero di Provesano, a San Giorgio della Richinvelda. Portiamo un fiore sulla sua tomba, se capitiamo da quelle parti: se lo merita davvero, e ricordarlo farà bene anche a noi. Chi era Fortuyn? È stato l’eccezionale leader olandese, fondatore di una lista – poi sfaldatasi dopo la sua morte – capace di movimentare la politica dei Paesi Bassi, e da lui condotta a impensabili successi elettorali. In tanti, in patria e fuori, cercarono di appiccicargli l’etichetta del mostro. E la demonizzazione, in Italia, colpì (perfino in luoghi teoricamente insospettabili) chiunque osasse proporre una lettura diversa del suo fenomeno. A mio avviso, infatti, Fortuyn incarnò uno schema tutto diverso rispetto alla caricatura estremista che i suoi odia tori gli appiccicarono in vita e post mortem.
Era chiaramente un uomo di destra, certo: e però - ecco il punto - fautore di una linea liberale e laica. La sua vera lezione sta nel modo in cui condusse le campagne contro l’immigrazione incontrollata e contro l’estremismo islamico: non adducendo ragioni razziste, che anzi respingeva con sdegno, ma proprio in nome delle ragioni della tolleranza olandese, in nome della cultura e del sistema di valori occidentali, in nome della constatazione del rifiuto di integrarsi delle comunità islamiste più radicali, in nome della necessità di non cedere al fondamentalismo ma di contrapporre a esso le bandiere occidentali della libertà, della democrazia, del rispetto di ogni scelta personale. Aveva previsto al millimetro ciò che sarebbe successo nel tempo: non solo un’invasione “quantitativa”, ma il concreto pericolo di un’iniezione di intolleranza e fondamentalismo islamista, al punto da mettere a rischio le nostre società. Tanto che le sue parole sembrano particolarmente adatte ai fatti della cronaca di queste ore.
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Qualcuno dovrebbe chiedere scusa a JD Vance. Ricordate l’affondo del vicepresidente americano a Monaco sull’...Magistrali le sue campagne contro il multiculturalismo, inteso come (impossibile e dannosa) integrazione di comunità, lasciando a queste comunità spazi e territori sottratti alla legge (o affidati a una legge diversa, cioè ai precetti dell’islamismo estremista). E a maggior ragione azzeccata la sua insistenza sull’integrazione individuale, e quindi sul necessario rispetto, da parte di chi arriva, di regole e principi liberali. Poi, su un altro piano, Fortuyn aveva compreso prima di altri un punto che oggi è chiaro alla gran parte dei partiti liberalconservatori occidentali: l’elettorato che è aperto in economia ha ottime chances di essere liberale e non chiuso, o comunque tollerante, anche sul terreno delle libertà personali. I Paesi Bassi sono certamente diversi dall’Italia, ma scelte di questo tipo vanno affermandosi quasi ovunque nei partiti occidentali di centrodestra: dunque, pure qui da noi, non avrebbe senso restare inchiodati a posizioni confessionali o dogmatiche (peraltro, come attestano innumerevoli analisi e sondaggi, minoritarie nell’elettorato), ed è invece più saggio caratterizzarsi per un approccio più liberale e aperto.
C’è da temere che quasi nessuno ricorderà questo anniversario e la singolare, originalissima, per molti versi solitaria figura di Fortuyn. Una ragione di più per farlo qui.