Il club del cineforum che non sa recitare neanche nella realtà

A forza di interpretare brutti copioni sulla scena, finiscono per recitare male anche nella realtà
di Mario Sechigiovedì 22 maggio 2025
Il club del cineforum che non sa recitare neanche nella realtà
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Il cinema è uno dei pilastri del settore dello spettacolo e gode di uno status di “eccezione culturale” che dovrebbe giustificare il suo sostegno con i finanziamenti pubblici. Elevato a opera d’arte (in realtà lo è in rari casi), il film viene distribuito nelle sale come un prodotto di massa, ma spesso diventa opera per pochi intimi, così il finanziamento pubblico (arrivato a superare il miliardo di euro all’anno) manca l’obiettivo primario, creare un moltiplicatore economico dell’investimento iniziale e favorire la diffusione della cultura.

Il governo Meloni ha riformato le norme per evitare abusi palesi, selezionare meglio i film, mettere un freno alla corsa di alcuni produttori interessati più al sostegno di Stato che alla bontà della pellicola. Un’operazione di buon senso, finita nel mirino del club dei cinematografari che hanno in testa la battaglia ideologica e dimenticano il deserto che regna in biglietteria quando i loro film vanno in sala.

La questione si è trasformata in un film rosso e Sandro Ruotolo, responsabile Cultura del Pd, ha affermato che «il cinema è malato, ma il governo ha deciso di ucciderlo». Alfred Hitchcock avrebbe cestinato la sceneggiatura di Ruotolo con una risata, perché il delitto non solo non è perfetto, ma è pure costoso: nella legge di Bilancio 2025 il “Fondo Cinema” del ministero della Cultura è pari a quasi 700 milioni di euro. Si tratta di una cifra enorme - che potrebbe essere destinata a ben altre necessità di interesse superiore - ma agli sceneggiatori da cineforum sfuggono i numeri, gli sforzi fatti dal governo e dal Parlamento in loro favore, in uno scenario di forte tensione geopolitica, con emergenze (ne cito tre, legate all’andamento demografico e alla rivoluzione tecnologica: natalità, liste d’attesa, lavoro e disoccupazione in vista dell’urto dell’intelligenza artificiale) che vanno ben oltre il falò delle vanità in celluloide. A forza di interpretare brutti copioni sulla scena, finiscono per recitare male anche nella realtà.