Alessandro Di Battista, morto il padre: non rinnegò mai il Msi

di Adriano Talentidomenica 22 giugno 2025
Alessandro Di Battista, morto il padre: non rinnegò mai il Msi
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Se n’è andato Vittorio Di Battista. Di Battista senior, o meglio “Vitto Dibba”, come ebbe scherzosamente a definirsi lui, nell’epoca d’oro. Sì, il papà di Alessandro Di Battista, che ne ha dato l’annuncio in uno struggente post social: «È stato un grande papà. È stato un uomo perbene, con i suoi pregi e difetti come tutti, del resto. Sempre fedele a se stesso, fino alla fine. Dannatamente coerente e straordinariamente incurante del giudizio altrui. Io sto male, ovviamente», ha aggiunto l’ex deputato. «Ma sento che in un certo senso che il cerchio si è chiuso nel modo giusto. Ho preso da lui tutto quel che andava preso e lo porterò sempre con me. A testa alta e con un nodo in gola». Parole commoventi che, ferme le differenze abnormi di cultura e posizionamento, avvolgono della amarezza figlia del tempo che passa e riportano agli anni in cui s’era tutti più giovani. Un decennio fa, o qualcosa in più.

Alessandro Di Battista era il volto del grillismo, il Movimento 5 Stelle prima maniera, quello dello spaccavetrismo politico, dello tsunami e del pedale dell’antipolitica affondato al massimo. E s’era maturato questo schema qui, per un periodo. “Dibba” come una sorta di “Che Guevara” dei gialli, il ribellista puro dal megafono facile. E Luigi Di Maio invece il damerino in cravatta e capellino pettinato da portare ai tavoli che contano. Un dualismo con una sua logica, per i tempi che correvano. E in questo racconto di demagogia spinta, bagni di folla, svarioni costituzionali e spesso grammaticali si faceva largo spesso lui, “Vitto Dibba”.

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Uomo coerente, è vero. Da satellite mediatico di un Movimento che era dogmaticamente post ideologico (non era vero, ma vabe’) si dichiarava ancora fascista. E irrompeva, lui imprenditore originario di Civita Castellana, con la spontaneità della gente in quel mare di gentismo. Guardava il percorso politico del figlio a modica distanza, salvo intervenire di tanto in tanto, e faceva notizia. A volte entrava a piedi uniti anche nel dualismo con Di Maio. «È un bravo ragazzo», diceva di lui, non si sa quanto con convinzione e quanto, forse, a stigmatizzarne con eleganza l’equilibrismo.

Altre volte, il giudizio fu molto meno lusinghiero. D’altronde, “Vitto Dibba” non si faceva troppi problemi. Tipo quando, nel 2018, il governo Conte I, Lega-5 Stelle, faticava a nascere perché il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva delle riserve sulla composizione ministeriale. Dibba jr già era fuori dal Parlamento, per sua scelta di non ricandidarsi, ma continuava a essere voce molto ascoltata del Movimento.

Ebbene, in quei giorni, suo padre scrisse un post probabilmente alludendo al Presidente della Repubblica: «Vada a rileggere le vicende della Bastiglia, ma di quelle successive alla presa». E dettagliò «quando il popolo di Parigi assaltò e distrusse quel gran palazzone». Dunque, «ecco, il Quirinale è più di una Bastiglia, ha quadri, arazzi, tappeti e statue». E scartabellando qui e là su internet si incappa anche in un aneddoto secondo il quale “Vitto Dibba” sarebbe riuscito a entrare nel ricevimento di nozze di Dario Franceschini per bersagliarlo di contumelie.

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A volte, poi, siccome la galassia dei ribelli in quegli anni era alquanto variegata, le varie anime andavano in conflitto. Di Battista (Alessandro) capitò per sbaglio in mezzo a una manifestazione del generale Antonio Pappalardo e i suoi gilet arancioni, che lo contestarono pesantemente. Qualche giorno dopo, Pappalardo teneva un suo comizio a pochi metri da un altro appuntamento del Movimento 5 Stelle. E Dibba (Vittorio) gli si fece sotto, forse per restituire il favore. Eppure, attenzione, basta vagare qui e là su youtube per cogliere, nell’eloquio, le derivazioni della vecchia militanza (nel Msi). «In una famiglia possono esserci delle crisi di coesistenza, il Movimento 5 Stelle è un’enorme famiglia orizzontale», spiegava a una giornalista del Fatto Quotidiano. Parole assai forbite per il milieu grillino di allora. Buon viaggio, Vittorio.

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