Il moralismo anti-Nato sbaglia bersaglio

Il passato che ritorna a sinistra. E Bersani la butta sull'attacco a Meloni
di Francesco Damatodomenica 29 giugno 2025
Il moralismo anti-Nato sbaglia bersaglio
3' di lettura

Giusto per non rimanere nella gabbia della solita ironia nella quale si infila di solito con le sue metafore, l’ultima delle quali coniata chiedendo alla premier Giorgia Meloni se non disponga, naturalmente al Colle Oppio, di una miniera di diamanti per finanziare la partecipazione alle maggiori spese concordate per la partecipazione alla Nato, Pier Luigi Bersani l’ha buttata sul piano moralistico. Il solito, anch’esso, di una certa sinistra tanto priva di idee e di coraggio quanto piena di paure, ossessioni, incubi.

A spaventare l’ex segretario del Pd, uscito e rientrato al Nazareno con Massimo D’Alema e altri vecchi compagni del Pci, sono non solo i miliardi di euro che il governo della Meloni e quelli successivi dovranno trovare in una decina d’anni per aumentare le spese militari, ma anche quelli che guadagneranno sulle commesse d’armi e simili i soliti corruttori, in uscita e in entrata.

L’Italia rischierebbe insomma non uno ma dieci, cento, mille scandali Lookeed, come quello a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta per la fornitura al ministero della Difesa di aerei di trasporto militare di quell’industria americana. Una fornitura trattata, esattamente fra il 1968 e il 1971, da cinque governi: uno di Giovanni Leone, tre di Mariano Rumor e uno, l’unico, di Emilio Colombo.

A evocare la vicenda Lookheed nel salotto televisivo di cui lui era ospite l’altra sera non è stato, in verità Bersani. È stato a sorpresa il mio amico Luca Josi, l’ultimo segretario della federazione socialista degli anni di Bettino Craxi. A sorpresa, dicevo, perché Luca sa bene quanto scivoloso sia il terreno del moralismo in politica. Un terreno sul quale Bersani è fiondato come un falco per prospettare i soliti scenari da mani pulite, diciamo così, al quadrato, al cubo e oltre.

Se non vogliamo farlo insomma per la pace, sempre in pericolo quando si fanno affari con le armi, evitiamo il cosiddetto riarmo, come si continua a chiamarlo nonostante tutti i tentativi di dargli un altro nome, per non indurre in tentazione corruttori e corrotti. O non lasciarli indurre in tentazione, come dice il testo aggiornato della più celebre preghiera cristiana che è il padre nostro.

Rinunciamovi preventivamente, come viene chiesto, sempre da quelle parti, supportate persino da indagini giudiziarie, intercettazioni e simili, per il ponte sullo stretto di Messina. Che peraltro fra i vari inconvenienti di potenziale corruzione, persino mafiosa, ha dovuto registrare in questi giorni anche quello dell’inserimento del progetto tra le infrastrutture finalizzate anche al rafforzamento della difesa militare. Una ciliegia, si sa, tira l’altra.

Non vorrei esagerare nella pratica andreottiana di pensare male azzeccandoci, ma in questo ricorso a scenari di corruzione vedo anche qualcosa di intimidatorio, come in certe forme esasperate di antifascismo, anch’esso preventivo. Si prefigura una Meloni a rischio di finire, a torto a ragione, in qualche giro malavitoso, oltre che guerrafondaio, genocida e via sproloquiando.

Proprio in questi giorni, sia pure ai margini di eventi celebrativi di altri protagonisti della storia repubblicana, ho visto, anzi rivisto trascinare quel galantuomo di Giovanni Leone nello scandalo Lookheed. Che gli sarebbe costato anche il Quirinale, costretto alle dimissioni sei mesi prima della scadenza del suo mandato, nel 1978, su pressioni combinate del suo stesso partito, la Dc, e del Pci.

Pentitisi entrambi, con i radicali di Marco Pannella che li avevano paradossalmente fiancheggiati, col solito ritardo. Ancora una volta si è fatto e si fa un torto al povero Leone. Costretto alle dimissioni non per la faccenda degli aerei sui quali aveva trattato il suo secondo governo, nel 1968, ma per la paura che avevano democristiani e comunisti ch’egli si lamentasse pubblicamente, e non solo privatamente, di come fosse stata gestita dal governo e dalla maggioranza, comprensiva dei comunisti, il sequestro di Aldo Moro e il suo orribile epilogo.

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