La grazia al partigiano scatenò l'ira dei missini

Nell’estate del 1965 al Senato lo scontro dialettico sulla grazia concessa dal presidente Giuseppe Saragat al partigiano comunista Francesco Moranino
di Anna Lisa Terranovagiovedì 17 luglio 2025
La grazia al partigiano scatenò l'ira dei missini
3' di lettura

Nell’estate del 1965, sessant’anni fa, al Senato si ebbe uno scontro dialettico fortissimo sulla grazia concessa dal presidente Giuseppe Saragat al partigiano comunista Francesco Moranino, che era latitante in Cecoslovacchia. Si sfiorò la rissa, si faticò a riportare l’ordine in aula. Ad accendere i fuochi fu il senatore missino milanese Gastone Nencioni. La seduta fu memorabile non solo per le “vivacissime” proteste segnalate nei verbali tanto a destra quanto a sinistra ma perché proponeva sei decenni fa un tema, le ombre della Resistenza, che è ancora oggi al centro di molte diatribe non solo parlamentari.

Chi era Moranino? Nato a Tollegno nel 1920, organizzò le brigate partigiane nel Biellese col nome di battaglia Gemisto. Nel 1944 fu responsabile della strage alla missione Strassera: l’uccisione di cinque partigiani non comunisti e di due delle loro spose. Una delle vittime, Emanuele Strassera, aveva l’incarico di sorvegliare per conto dei Servizi americani l’attività delle brigate partigiane comuniste e le loro modalità di lotta che si traducevano in sbrigative esecuzioni. Le donne, Maria Santucci e Maria Francesconi, vennero eliminate per impedire loro di indagare sulla sorte toccata ai mariti. Nel dopoguerra Moranino, trattato da “eroe” dal Pci e eletto anche all’assemblea costituente, fu condannato per quella strage quando era già fuggito nel paese comunista amico. Nel 1965 il socialdemocratico Saragat gli concesse la grazia pagando - secondo lo storico Sergio Romano un debito di riconoscenza al Pci che aveva contribuito ad eleggerlo. Il partigiano comunista rientrò in Italia nel 1968, e fece in tempo a diventare senatore nel collegio di Vercelli.

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Al Senato la bagarre scoppiò proprio quanto il missino Nencioni rievocò le gesta efferate di Moranino tra cui la strage dell’Ospedale psichiatrico di Vercelli, eseguita dal gruppo guidato da lui e da Silvio Ortona detto il Lungo, avvenuta nel maggio del 1945, a guerra finita, con l’esecuzione sommaria di circa settanta militi della Rsi, alcuni dei quali uccisi passando sui loro corpi con gli autocarri. La memoria dell’evento fu per decenni tramandata quasi unicamente dai reduci della Rsi: solo in anni più recenti alcuni storici hanno ripreso il tema, tra questi Claudio Pavone e Giampaolo Pansa.

Dunque da sinistra si cercò di far tacere Nencioni che replicò duramente: «Ma state zitti! Abbiate il pudore del silenzio. Siete macchiati dello stesso sangue. Voi avete paura della storia». Per i missini la grazia a Moranino apriva un varco pericoloso alla “marea sovversiva”. Restiamo solo noi – urlò Nencioni in quell’occasione – a difendere il popolo italiano dal comunismo. Dopo Nencioni prese la parola Ferruccio Parri che così esordì: «Viva la Resistenza! Vogliamo dire che un giudizio storico è stato già pronunciato, che chiude tutte queste vertenze, che ne rileva la profonda meschinità».

Dopo di lui Piero Secchia - ala dura della Falce e martello - elogiò Moranino come «valoroso combattente» tra gli applausi dei suoi e osservò che sì, nella Resistenza c’erano state anche ombre, riconobbe che errori furono commessi, per giungere poi a una conclusione che è la stessa che sei decenni dopo viene ancora riproposta e elevata a dogma: «La Resistenza o la si accetta in pieno con le sue luci e le sue ombre o la si respinge e la si condanna». Né si può consentire, ammoniva Secchia, di vilipendere «i combattenti della Resistenza» perché così facendo si mettono in discussione le «basi stesse della nostra Costituzione». Secchia concluse la sua requisitoria tra «i vivissimi applausi dell’estrema sinistra e della sinistra». Anni dopo il brigatista Alberto Franceschini raccontò al giornalista Giovanni Fasanella di avere incontrato Moranino nel 1971, anno della sua morte: una sorta di passaggio di testimone dai vecchi partigiani ai nuovi brigatisti.

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