Non è un’altra Tangentopoli, come quella del 1992 esplosa con l’arresto di Mario Chiesa a Milano, ha precisato anche l’insospettabile Antonio Di Pietro dando una lettura diversa dalla Procura ambrosiana della politica urbanistica di Milano. Della quale già da qualche tempo si contendevano il controllo, la gestione e quant’altro gli uffici preposti dell’amministrazione comunale di Beppe Sala e quelli giudiziari, convinti che fossero illegali, e persino corruttivi, le interpretazioni e applicazioni di leggi e regolamenti per le ristrutturazioni edilizie, riqualificazioni di aree eccetera.
A dire chi avesse ragione fra gli uffici comunali e giudiziari, senza lasciare degenerare il conflitto fra gli uni e gli altri in una mezza guerra che è scoppiata con una settantina d’indagati e le prime richieste d’arresti, avrebbe potuto e dovuto provvedere il Parlamento con una legge di interpretazione autentica delle norme in vigore. Ma il percorso dell’iniziativa assunta dal governo, la cosiddetta “legge salva Milano”, è stato interrotto dalla sinistra, che pure avrebbe dovuto avere interesse a completarlo essendo appunto di sinistra la giunta Sala. E’ qui, quindi, a sinistra, che si è verificato un corto circuito, a dir poco. Se non un complotto.
È a casa sua, politicamente parlando, che il sindaco coinvolto nell’affare ora giudiziario deve cercare il Bruto o i Bruti di turno. Non a destra, dove si sono levate richieste di dimissioni e quant’altro ma anche quali la precisazione responsabile di Giorgia Meloni. Che festeggiando i suoi primi mille giorni a Palazzo Chigi, ha preso le distanze persino dal presidente del Senato Ignazio La Russa dicendo che è Sala a dovere valutare la situazione.
La segretaria del Pd Elly Schlein è rimasta per alcune ore, quasi un giorno, silenziosa. Ma alla fine si è decisa ad esprimere la solidarietà telefonica al sindaco condividendone -si deve presumere- la contestazione delle valutazioni dei magistrati inquirenti. Tutto chiaro allora dopo la pur lungamente attesa telefonata della Schlein? Per niente.
Di Sala, in questa vicenda esplosa a livello giudiziario con tutte le solite cadute politiche e mediatiche, non è più in gioco soltanto la prosecuzione del mandato di sindaco, ai fini della quale la solidarietà della segretaria del Pd può avere l suo significato e peso. E’ in gioco, ancor prima o di più, il percorso che Sala si era proposto, o si era lasciato attribuire, di federatore del progetto di alternativa al centrodestra. E di candidato a Palazzo Chigi, spinto da quello spirito “civico” visto al Nord in lui e al Sud nel sindaco di Napoli, e presidente dell’associazione nazionale dei Comuni, Gaetano Manfredi.
Rispetto a questo percorso, legittimo per un politico, la telefonata della Schlein vale poco o niente, ripeto. Vale di più quel “rifiuto di sconti” annunciato, commentando appunto la vicenda milanese, dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che è un concorrente, nella corsa a Palazzo Chigi, della stessa Schlein e di Sala, deciso a sfruttare l’azione d’oro che ritiene di avere in mano considerandosi elettoralmente determinante nel campo dell’alternativa.
È tutto a sinistra quindi, ripeto, il problema scoppiato a Milano. Come, del resto con la Tangentopoli di 33 anni fa, esplosa in sede giudiziaria e amplificata in sede politica e mediatica per liberarsi a livello nazionale di Bettino Craxi. Colpito peraltro proprio nella sua Milano perché ormai, finito il comunismo sotto il muro di Berlino, con lo slogan e le bandiere dell’”unità socialista” lui era diventato per il Pci e i suoi derivati, nominalistici e simbolici, con la falce e martello depositati sotto una quercia, ancora di più un’ossessione. Questa non è dietrologia. E non è più nemmeno cronaca. E’ storia. La sinistra ha finito per avvilupparsi nelle sue abitudini e angosce.