OPINIONE

La scelta di stare dalla parte giusta

domenica 3 agosto 2025
La scelta di stare dalla parte giusta
4' di lettura

L’intervista del ministro degli Esteri di Israele, Gideon Saar, a Libero è una preziosa occasione per sapere, per capire. Le domande di Fausto Carioti e le risposte di Saar testimoniano il dramma di uno Stato costretto a combattere in un conflitto che non ha cercato (l’aggressore si chiama Hamas, non va dimenticato), la tragica scelta di una democrazia di muovere guerra su 7 fronti per non finire accerchiata e distrutta.

Gli amici di Israele riconoscono questa tragedia e tra loro - ne sono certo - c’è anche Sergio Mattarella. Le parole del Presidente della Repubblica sulle operazioni militari di Israele sono state nette, è vero, ma il tono era quello di un amico preoccupato per il crescente isolamento dell’unica democrazia del Medio Oriente. Il ministro Saar nel colloquio con Libero riconosce questa amicizia, la considera un valore, e su questa base il rapporto tra Roma e Gerusalemme - le due città sante - avrà altre occasioni importanti di cooperazione, come testimonia la partecipazione dell’Italia ai lanci di aiuti su Gaza.

La guerra non finisce, ma chi si nutre di Storia sa che questo spazio non -finito non sarà infinito, il tempo scorre veloce, molte cose sono cambiate e cambieranno. Precipitato nell’abisso della strage degli ebrei del 7 ottobre 2023, lo Stato di Israele ha trovato la forza per reagire, si è rialzato e ha messo a segno una formidabile serie di successi sul campo di battaglia. Dopo 667 giorni di conflitto, Israele è in una condizione di forza e di debolezza nello stesso tempo, mai è stato così forte e mai è stato così minacciato nelle fondamenta. Israele è costretto a combattere (su 7 fronti, mai dimenticare questa multipla dimensione strategica), ma gli viene chiesto di farlo in una maniera limitata che spesso è incompatibile con lo scopo della guerra: l’annientamento dell’avversario e la costruzione di un nuovo ordine nella Striscia di Gaza (e nell’intera regione).

Israele sta cambiando la mappa delle alleanze e dei rapporti di forza in Medio Oriente, ma per conseguire il successo politico deve continuare a muovere guerra. A Gaza le operazioni militari proseguono in un ambiente di guerriglia urbana- il più rischioso, ma le notizie sulla morte dei soldati israeliani non trovano spazio nelle pagine dei giornali e nei servizi di TeleHamas- il fatto incredibile è che in questo scenario i terroristi hanno trovato una formidabile arma nella debolezza delle cancellerie europee. Fare pressione su Israele, intimando il riconoscimento dello Stato Palestinese se non cessa il conflitto, ha fornito a Hamas la straordinaria occasione per non deporre le armi, non rilasciare gli ostaggi, continuare a combattere per arrivare a un successo politico proprio nel momento in cui è più debole, all’angolo, aggrappato alle membra degli ostaggi, ancora in cerca di un colpo letale sulle città israeliane. Questa è la chiave della botola che hanno aperto in Europa: se la guerra continua, Israele avrà torto e le cancellerie del Vecchio Continente riconosceranno la Palestina come ritorsione contro il governo Netanyahu. Un capolavoro da Guinness dei fiaschi militari e politici, un orrendo testacoda che darebbe alle belve del 7 ottobre una vittoria colossale sulla quale ricostruire il proprio dominio nella Striscia.

Siamo di fronte a un suicidio diplomatico che ha il sapore beffardo di un ritorno al futuro, quello dell’Europa che nel 1938 concesse alla Germania l’annessione della regione dei Sudeti, provocò la successiva caduta della Cecoslovacchia e di fatto diede a Adolf Hitler il via libera all’invasione della Polonia. Anche allora, i protagonisti di questo tragico errore furono la Francia e il Regno Unito, i primi ministri erano Édouard Daladier e Neville Chamberlain, i loro nomi evocano la sciagura degli accordi di Monaco. Ieri e oggi s’intrecciano, l’album della storia incrocia le tragiche figurine. Le fughe in avanti sul riconoscimento dello Stato Palestinese da parte di Keir Starmer e Emmanuel Macron sono state un gravissimo errore, Londra e Parigi hanno usato la questione palestinese a fini interni (governi in crisi di consenso che lisciano il pelo agli elettori Pro Pal e alle sinistre che hanno individuato nell’ebreo il capro espiatorio della loro bancarotta culturale), tanto che Hamas ha subito alzato il prezzo (e il tiro) pubblicando i video di due ostaggi ebrei in condizioni disumane. La guerra psicologica degli islamisti non ha pietà del corpo e dell’anima, cerca la sofferenza, punta a colpire l’Occidente debole, smarrito, senza esperienza della guerra, privo di senso storico, ingrassato dalla retorica nichilista, con la pancia piena e il cervello vuoto.

Ecco perché la scelta di Israele - drammatica, come si coglie nettamente nell’intervista di Saar - è una sola: continuare a dar battaglia dove s’annidano i terroristi e tessere la tela con gli Stati Uniti (e chi ci sta in questo disegno del futuro) per costruire nuove alleanze, isolare Hamas, marginalizzare completamente Hezbollah e gli alleati dell’Iran sciita. Molte cose sono cambiate, l’intervento unanime della Lega Araba contro Hamas è certamente un’occasione unica perla svolta (siamo al paradosso che gli Arabi hanno mostrato più coraggio e lucidità rispetto all’Europa) e basta una lettura attenta dei giornali arabi per cogliere tra le righe ulteriori elementi nuovi: secondo il quotidiano libanese Al-Akhbar, vicino a Hezbollah, una fonte egiziana che partecipa ai negoziati ha raccontato che Washington ha allentato la pressione su Israele affinché ponga fine alla guerra, secondo la fonte si tratta di un «notevole cambiamento nella posizione americana», al punto che la richiesta della Casa Bianca ora è quella della «resa di Hamas» e non di un cessate il fuoco temporaneo. Tutto muta in fretta, soprattutto in Medio Oriente, ma c’è una coincidenza con quanto ha dichiarato Donald Trump qualche giorno fa: la guerra finirà quando Hamas rilascerà gli ostaggi e deporrà le armi. Ho la sensazione che l’Europa, ancora una volta, sia non solo fuori dai giochi, ma anche distante dalla logica e dai fatti, smarrita al punto di entrare in scena solo per finire davanti al tribunale della Storia.

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